C’era una volta il cinema Italiano, un’Industria che era in grado di primeggiare nel mondo, di dare sfogo alle visioni utopistiche di quell’immaginario collettivo di idee, progetti, sfoghi culturali di un popolo troppo fragile e debole per fare la rivoluzione, che ha sempre visto l’arte e le sue svariate forme un modo per far valere se stessi, dimostrare agli altri le proprie doti, in questo caso creative, attraverso un linguaggio non sempre compreso, ma nella maggior parte dei casi amato, poiché ha saputo recare a chiunque quel desiderio di riscatto sociale, di indipendenza, di valor proprio, ma soprattutto di sognare.
Poiché, che i sogni sono l’essenza della vita di ciascuno di noi, questo, gli Italiani lo hanno compreso da sempre, attraverso le infinite catarsi che si sono succedute nel tempo. Delle vere e proprie rinascite sensoriali e quasi mitologiche che sono state in grado di dare alle infinite storie di questa gente non comune, il grado alto di leggenda, per i tratti carismatici, per la loro essenza di “lasciare un segno”, per la loro capacità di dare vita a luoghi non comuni, visioni di follie infinite, il vomito acido di un’immaturità contagiosa, che ritroviamo oggi in quella classe dirigente che fugge, tarpando le ali ai desideri tramutandoli in bisogni senza però dare ad essi il segno tangibile delle priorità.
Priorità sarebbe parlare e agire per ristabilire quell’equilibrio che manca, nella maniera per il quale i rapporti sociali saranno nuovamente il mantice, attraverso il confronto che produce legami in tutti i sensi, per poter parlare nuovamente di evoluzione.
Non potranno esistere segni di un evoluzione che produca i propri risultati nel tempo se le priorità non andranno ad incidere sulla cultura, che sul piano Italiano non si farebbe altro che valorizzare risorse che formando già il nostro carattere prettamente identitario, andranno ad influire sempre più in una costante di rilancio, il carattere di quelle generazioni che verranno.
Il cinema è sempre stato in grado, per quanto il suo linguaggio ha la particolarità di essere immediato, di unire, di legare culture differenti, di non omologare, ma evidenziare le differenze e farne un simbolo di fierezza, coraggio, ed un tratto distintivo.
Da questo punto, che definirei un’altra delle nostre priorità, bisognerebbe ripartire, ma prima di farlo c’è la necessità di stare immobili, “come un piccione appollaiato su un albero che riflette sull’esistenza”, proprio come il capolavoro del regista svedese Roy Andersson, al quale è stato dato il merito del Leone d’oro.