Simboli che diventano visioni. Visioni che si rivelano storie da raccontare. Di quelle storie che non ti esimeresti mal dal narrarle. Ricche di ilarità. In grado di sconvolgere e stravolgere. Molto spesso sono più grandi di noi e non le sappiamo decifrare nel più profondo. Nel nostro piccolo siamo capaci di dare un senso a tutto. Raramente ci rendiamo conto che quel tutto è un illusione che ci tiene imprigionati come un pezzo di carne all’interno del cellophane al supermercato.
Siamo tutti dipendenti da qualcosa dal quale vogliamo uscire, ma di rado lo comprendiamo. Molto spesso, tanti, non riescono a uscire da quell’involucro troppo stretto che ci tiene troppo legati a convinzioni, luoghi comuni che non rispecchiamo ciò che siamo.
Perché ciò che siamo va al di là delle chiacchiere, delle battute mosce, e di tutto ciò che ci allontana da quell’equilibrio che vorremmo raggiungere. Delle volte osare aiuta a farci comprendere quanto l’arte nel tempo abbia contribuito a cambiare realmente il pensiero, e il modo di attuarlo.
La bellezza sta proprio nel percepire il senso dell’arte. Esprimere se stessi e la propria visione del mondo in un modo che potrebbe dare l’impressione che siamo stati capaci di prenderci sul serio, fin troppo sul serio, fino a raggiungere degli spasmi, a causa di aver superato ogni limite. Come segno che quei limiti in realtà non esistono.
In questi casi correre non serve a nulla, ed il senso lo ritroviamo nel fermarci per brevi attimi, assaporare un thé rigenerante, meditare e perdere i sensi per riacquistarli quando, in un secondo momento, avremmo ripreso a respirare nuovamente.
“Sayonara” è un arrivederci al mondo, e l’inizio di una seconda vita.