È così difficile essere chiari e trasparenti nel divulgare notizie che il più delle volte portano solo ad alimentare disagio e preoccupazione? L’Economista Gianluca Pistore nel rispondere alle domande ci fa un quadro chiaro e di semplice comprensione in risposta a tutti gli interrogativi che quotidianamente ci poniamo in questo momento così delicato della nostra esistenza.
In molti parlano del Covid-19 in modo generico, ma nessuno dice che è una malattia sistemica. Vuole parlarcene?
Avere un quadro chiaro di una malattia apparsa da poco non è affatto semplice. Inizialmente è stata confusa da molti con una banale influenza, cosa che assolutamente non è. Questa distinzione in molti eravamo riusciti a farla osservando semplicemente i dati di letalità, completamente differenti, ma ulteriori studi hanno mostrato come la Covid-19 sia una malattia multiorgano, una malattia sistemica, come spiega nel mio libro il Paleopatologo Francesco Galassi. La Covid-19 mostra varie complicanze gravi che non riguardano solo la sindrome da distress respiratorio acuto; ma anche disturbi cardiaci, della coagulazione, sepsi, shock e insufficienza multiorgano. Si tratta di manifestazioni non frequenti ma possibili, anche per questo è bene fare grande attenzione, tuttavia mi sembra opportuno sottolineare che il grande rischio di questa malattia è rappresentato – paradossalmente – per i sistemi sanitari più che per il singolo individuo. Infatti, ci troviamo davanti ad un virus estremamente capace di contagiarci e diffondersi, provocando ondate di malati che saturano ospedali e terapie intensive facendo collassare il sistema e non consentendo di curare non solo i pazienti covid, bensì anche quelli non covid.
Secondo lei c’è una connessione logica tra l’intensificazione delle zone rosse al fine di essere più solerti con le vaccinazioni?
Le zone rosse sono indispensabili laddove vi sia un incremento e un’incidenza feroce di casi. Con le varianti del virus che hanno maggiore capacità di trasmettersi è necessario piegare la curva dei contagi con misure restrittive. Per intenderci: se con le varianti, incontrando le stesse persone, abbiamo una probabilità più elevata di contagiarci, allora dobbiamo incontrare meno persone. Come si fa a far accadere questo? Si mettono restrizioni agli spostamenti, si chiudono luoghi di incontro e si intensificano le misure finché i contagi non diminuiscono. Si sta inoltre sperimentando la strategia di “reactive vaccination”, già sperimentata in altre epidemie, che è prevista nel nostro piano vaccinale. Nei luoghi con maggiore circolazione virale si va a contenere il contagio con le chiusure e ad intensificare la vaccinazione. Ho letto che il Ministro Speranza vuole creare un fondo di riserva di vaccini da inviare nei luoghi in cui dovessero esservi focolai importanti.
Che relazione c’è tra politica e case farmaceutiche? In queste ultime giornate pare che ci sia poca chiarezza da parte di entrambi.
C’è la relazione normale che troviamo tra le istituzioni e i privati che operano in settori di interesse collettivo. Credo che la poca chiarezza sia di informazione. Se pensiamo a quello che sta accadendo sul vaccino AstraZeneca ci rendiamo conto di quanto il sistema sia estremamente attento a tutelare l’interesse dei cittadini. In tutta Europa su 5 milioni di somministrazioni di questo vaccino abbiamo osservato 30 casi di trombosi, sostanzialmente in linea con quanto accade normalmente senza vaccinazioni (eh già, le malattie capitano!) e non è dimostrato nessun nesso causale tra somministrazione del vaccino ed evento avverso, eppure la farmacovigilanza è immediatamente intervenuta con una sospensione preventiva di un lotto e con approfondite indagini che ci diranno cosa è accaduto realmente. Certamente la politica in questa fase deve pretendere dalle case farmaceutiche non solo trasparenza, ma anche rispetto dei patti e delle consegne. Ogni dose di vaccino consegnata in ritardo significa rimandare la vaccinazione di una persona che in quel tempo può essere esposta all’infezione. Oggi abbiamo i vaccini e non è tollerabile nessun ritardo, su questo spero che la politica sia ancora più ferma e capace di dettare i tempi alle case farmaceutiche.
Come mai c’è sempre discordanza tra le fonti nel dichiarare i numeri dei contagi? Anche questo crea preoccupazione da parte di chi non ha gli strumenti reali per capire quanto a volte certe notizie corrispondano al vero.
Perché non si risale alla fonte. Esiste una sola fonte in Italia che dà il numero dei contagi, è il bollettino della protezione civile. Quei numeri sono studiati e analizzati negli ottimi report dell’Istituto Superiore di Sanità che ha sempre mostrato un’attenta sorveglianza epidemiologica. Colgo l’occasione per ringraziare il Prof. Brusaferro, Presidente dell’Istituto che ha scritto la prefazione al mio libro. La discordanza non è data da queste fonti di dati, ma da chi racconta il lavoro di queste fonti, da chi prende i numeri e le dichiarazioni dell’ISS e le interpreta a proprio piacimento, da alcuni “esperti” che vanno in televisione a fare previsioni sul futuro sbagliandole completamente. Chi non ha gli strumenti chiaramente deve affidarsi, ma è bene affidarsi a chi ha mostrato di non illudere le persone. Sui miei profili, per esempio, non mi sono mai permesso di fare previsioni sul futuro, ho mantenuto sempre riservata la mia opinione e ho sempre cercato di raccontare i fatti.
Alcune volte mi sono sbilanciato a mostrare possibili scenari, l’ho fatto grazie alle analisi e ai modelli matematici che ci permettono di studiare gli andamenti, come spiego nel libro.
I numeri dei contagi sono quasi identici alla prima ondata. Come mai gli interventi non sono cambiati rispetto a quando non si era per così dire: preparati…?
Nella prima ondata ci siamo trovati ad avere una regione che era la locomotiva dei contagi, in alcuni periodi la metà dei contagi italiani avvenivano in Lombardia, un’altra grossa fetta nelle regioni limitrofe e una minima parte nel resto d’Italia. La prima ondata non ha particolarmente colpito il centro e il sud, come invece è avvenuto nella seconda e come sta avvenendo in questa terza ondata. Quindi una prima grande differenza è che abbiamo una diffusione geografica del virus completamente differente. Una seconda è che oggi abbiamo una capacità di testing molto migliorata rispetto alla prima ondata, tuttavia, insufficiente. Quando i contagi aumentano come in questi giorni salta il tracciamento che sappiamo essere fondamentale per circoscrivere i focolai e isolarli. Quando salta il tracciamento non resta altro che disporre misure che colpiscano uniformemente tutti e che abbattano i contagi. Lei ha ragione quando si chiede: come mai non siamo preparati dopo un anno? Mi verrebbe da rispondere: perché ci raccontiamo bugie rassicuranti. Ricordiamo poco prima della seconda ondata? Noi facevamo notare che i contagi stavano risalendo e altri dicevano che erano tutti asintomatici, che il virus era più buono. E così in un paio di mesi ci siamo trovati con gli ospedali che scoppiavano. Ora con la terza ondata abbiamo fatto qualcosa di molto simile: varianti più contagiose che hanno piegato l’Europa, noi lanciavamo l’allarme e ci hanno dato dei terroristi, ora salgono i contagi e sembra che nessuno se lo aspettava. Nel mio libro ho chiesto ad eccellenti esperti, da Walter Ricciardi a Nino Cartabellotta come iniziare a gestire il virus invece di inseguirlo e da loro ho imparato davvero molto.
Nel suo libro: “Il Virus che non esisteva”, in diverse occasioni ribadisci che nonostante le testimonianze del passato. L’uomo persevera negli errori. Perché continua ripeterli?
Credo che siano due le componenti che ci portano a ripetere errori del passato, una è l’ignoranza, una è l’incapacità di accettare il dolore. È innegabile che, come fa notare il Prof. Francesco Galassi nel suo testo “uomini e microbi: l’eterna battaglia” gli storici della medicina siano stati poco coinvolti (per non dire ignorati) in una situazione in cui avrebbero potuto insegnarci molto. D’altra parte, l’unica misura che abbiamo avuto contro il virus per circa un anno è stata la quarantena, misura che non abbiamo certo inventato in questa pandemia. Allo stesso tempo molte epidemie della storia attraversano fasi comuni nelle quali si possono commettere errori simili, uno dei quali, ad esempio, è dichiarare prematuramente terminata un’epidemia come accaduto a Giustiniano I. Per chi invece ha qualche rudimento di storia o una minima consapevolezza di ciò che accade, talvolta, può esserci la difficoltà nel dover accettare la sofferenza, è infatti molto più comodo credere che il virus sia diventato più buono – anche se non ne abbiamo alcuna evidenza scientifica – piuttosto che pensare che si sarebbe ripresentato con una seconda e devastante ondata. È un po’ nella nostra natura. Per questo dobbiamo lavorare molto sulla nostra consapevolezza.
La sua visione di fronte a quanto sta accadendo?
Stiamo vivendo un’epoca che certamente finirà nelle pagine di storia che leggeranno i nostri figli. Dobbiamo però capire che quelle pagine ancora non sono tutte scritte, alcune possiamo scriverle noi col nostro comportamento, con le nostre azioni, con il nostro coraggio. Oggi si è coraggiosi se si mette bene la mascherina, se si resta a casa, se si capisce che questo nemico è davvero temibile e dobbiamo affrontarlo con serietà e con le armi che abbiamo: distanza, mascherine, vaccino. Proviamole a scrivere noi le prossime pagine!
Intervista di: Gabriele Vinciguerra