La violenza sulle donne ormai è un tema di grande attualità, dibattuto nei salotti televisivi, analizzato e sviscerato antropologicamente. Ma ciò che accade davvero a chi subisce quotidianamente tali abusi, può saperlo solo chi vive in prima persona questa forme di prevaricazione. Eppure,il film “Ma l’amore c’entra? ”, diretto da Elisabetta Lodoli, per la sceneggiatura di Federica Iacobelli, con la produzione esecutiva di Roberta Barboni, offre un punto di vista inedito che ribalta il luogo comune del “carnefice “. L’intento non è quello di giudicare gli uomini che compiono atti violenti o di marchiarli come criminali, ma di capire come e dove nasce la loro aggressività.

Paolo, Luca e Giorgio sono tre nomi di fantasia, ma dietro ci sono persone con i loro drammi e le loro esistenze. Grazie alla loro autoconsapevolezza  e all’aiuto del centro LDV (Liberiamoci dalla Violenza) dell’Azienda USL di Modena, che peraltro ha collaborato alla realizzazione del film, sono riusciti a liberarsi dalla morsa degli stereotipi culturali. Quelli che considerano la brutalità dell’uomo il frutto di un semplice “male di vivere” o ancor peggio di una malattia da cui “disintossicarsi“.

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Con questa pellicola però non si vuole trasmettere il messaggio che la violenza sia una malattia ma che sia piuttosto condizionata dagli stereotipi di una cultura gender che mette sul piedistallo gli uni rispetto agli altri.

Le vite di questi tre uomini, infatti, non sono affatto alienate; si tratta di persone “normali” che potremmo incontrare ogni giorno sul nostro cammino. Eppure le loro relazioni affettive e il modo di approcciarsi con le loro mogli e compagne, come da loro stessi riconosciuto nel loro “flusso di coscienza“, è stato devastante. Non sono le violenze che rimbalzano quotidianamente nell’arena della gogna mediatica, i cui spesso passa il messaggio che l’uomo violento sia semplicemente colui che ha bisogno di aiuto perché malato. In talune circostanze può anche subentrare una tendenza orientata ad un comportamento di tipo seriale e patologico, ma non è questo il ritratto dell’uomo comune che, purtroppo, tende a sopraffare la donna per dar sfogo alla propria rabbia e frustrazioneSono uomini che devono cambiare mentalità e relazionarsi con un approccio differente non solo nei confronti delle donne, ma in generale nei riguardi del prossimo.

La violenza può avere diverse scale e progressioni

La violenza può avere diverse scale e progressioni: può andare dalla prepotenza che si manifesta con urla e gesticolazioni alquanto protese verso la prevaricazione, fino alla brutalità di uno schiaffo, alla violenza verbale più ingiuriosa ed umiliante, alle “aggressioni” vere e proprie, quelle che alcune donne tentano di occultare e quando proprio non si può fare a meno di nasconderle, si inventano mille scuse inverosimili nel tentativo disperato di nascondere la verità.  Ma quel che è peggio si entra per davvero nella parte recitata, al punto che ci si colpevolizza delle aggressioni subite. Il meccanismo di autodifesa è più o meno sempre lo stesso, ci si pente, si chiede scusa, si promette che non accadrà mai più salvo ricominciare punto e a capo. Nel caso dei tre uomini protagonisti del film la richiesta di aiuto è arrivata prima che le violenze degenerassero o che potesse accadere l’inevitabile.

La regista Elisabetta Lodoli offre attraverso il racconto-documentario di questi tre uomini che non è tanto incentrato sul loro percorso terapeutico, quanto sul modo in cui il superamento di una certa cultura maschilista possa aiutare a comprendersi, dialogare ed accettarsi come “anime paritarie”.  Dopo la proiezione di un’anteprima del film ci sarà un dibattito moderato dal critico e giornalista, Mario Sesti, con gli interventi degli ospiti Daniela Brogi, critica e saggista e Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista.

Il film, prodotto da Maxman Coop, è stato realizzato grazie alla collaborazione del centro LDV (Liberiamoci dalla Violenza) dell’Azienda USL di Modena e di altri partner come l’Associazione Orlando, MarechiarofilmHomeMovies Archivio Nazionale del Film di Famiglia e Aranciafilm e con il patrocinio del Comune di Modena. Sarà presentato il prossimo 3 novembre in anteprima alle ore 21.30 al MAXXI Auditorium, in via Guido Reni, 4/a.

Marianna Gianna Ferrenti

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Marianna Gianna Ferrenti
Sono una giornalista pubblicista lucana. Dopo alcune esperienze sul territorio, ho allargato gli orizzonti, affacciandomi nel 2012 al mondo del social journalism. Laureata magistrale in Scienze filosofiche e della comunicazione, dopo un corso di Alta Formazione in Graphic Design ed Editoria digitale, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, ho arricchito il mio background con competenze tecniche nell'ambito della scrittura digitale

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