The Father (Nulla è come sembra) ha la capacità di raccontare con evidente sincerità, e attraverso una pellicola intima e realistica, un legame totalizzante come quello fra un padre e una figlia che si complica con l’arrivo di un terzo convivente devastante ed esigente: la malattia.
Il film con i due premi Oscar Hopkins e Colman è ora in programmazione nelle sale italiane
Con la sua interpretazione Anthony Hopkins ha vinto, a 83 anni, il suo secondo Oscar
Si tratta dell’opera prima di Florian Zeller (Oscar alla migliore sceneggiatura non originale Zeller/Hampton), la trasposizione cinematografica dell’omonima pièce teatrale scritta dallo stesso Zeller, già portata sul grande schermo da Le Guay. I due attori non sbagliano un’inquadratura mentre regna la bellezza delle musiche di Ludovico Einaudi.
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Un must per gli appassionati della settima arte. Vede recitare insieme Anthony Hopkins (che a 83 anni grazie a The Father ha vinto il suo secondo Oscar come miglior attore protagonista) e Olivia Colman (La favorita). Anthony (Anthony Hopkins) è un uomo anziano che ha la demenza senile. Avviluppato tutto su se stesso e vittima del suo mondo interiore che descrive come un albero privo di fogliame, un paesaggio annichilito “dal vento e dalla pioggia”. C’è un’unica cosa che il protagonista sa, la sua unica certezza: “Il mio orologio è nel mio polso, questo lo so. Per il viaggio”. È il viaggio che fa indossare allo spettatore prima i panni del padre, poi le vesti della figlia. Mentre le emozioni e i sentimenti scorrono fra la rabbia e l’amore, lo smarrimento e l’accettazione, la negazione e la consapevolezza, pure il plot si snoda fra visione e realtà perché “niente è come sembra” nella malattia.
The Father, l’incapacità di capire il mondo e quell’invito a camminare nel sole
Il padre che Zeller fa agire/non agire, lo smarrimento nelle ritualità dell’ accudimento di un malato, ricalcano quell’atteggiamento più universale di chi non sa esattamente in che mondo vive
Il padre che Zeller fa agire/non agire, lo smarrimento nelle ritualità dell’ accudimento di un malato, ricalcano quell’atteggiamento più universale di chi non sa esattamente in che mondo vive. “Mi sento come se avessi perso tutte le foglie” confessa il protagonista liberatosi di un carico che lo costringe ancora ad arrancare. Forse solo “è una gran fortuna non sapere esattamente in che mondo si vive” ?, volendo citare Szymborska. Cioè quando quella progettualità si riduce alla serafica passeggiata nel parco, o, all’inizio del giorno, a un “furto di vita” che si consuma sul davanzale della finestra. Per riportaci, nel finale, proprio dove tutto è cominciato. A un vagito. A due occhi puri. A due occhi smarriti che per la prima volta ricevono un invito a camminare nel sole.
valeriagennaro@alpifashionmagazine.com