Mobile working. Lavorare ovunque in modo semplice e produttivo” è il focus di uno dei prossimi incontri della rassegna “Colloqui di Lavoro”. Ed è anche il titolo del libro di Cristiano Carriero che sarà presentato alla rassegna  il prossimo 25 ottobre, nell’ambito del macro tema “Lavorare senza posto fisso”. In questo contesto l’autore aziendale si confronterà in un “corpo a corpo” dialettico con Osvaldo Danzi, presidente dell’associazione FiorDiRisorse.

In realtà, la rubrica itinerante che ogni mercoledì, dal 29 settembre, attraversa il mondo delle librerie indipendenti, non è una semplice presentazione di libri sul futuro del mondo del lavoro, bensì l’occasione per discutere sul futuro reale dei professionisti italiani e sui margini di valorizzazione dei talenti, con autorevoli esperti, autori aziendali, imprenditori e professionisti di successo, che si sono affermati nel quadro dell’imprenditoria italiana.

Dopo Antonio Belloni, Esperto di Comunicazione e Marketing ed autore di “Uberization” (Egea, 2017), Giovanni Maistrello, Responsabile Commerciale Car2Go, Gianluca Spolverato, avvocato giuslavorista e autore di Il futuro al lavoro” (Guerini Next, 2017) e Nicola Michelon, AD di Unox Ovens , è la volta di Cristiano Carriero che dialogherà con Osvaldo Danzi, suo maestro e mentore.

Assieme ad Osvaldo Danzi, presidente di FiorDiRisorse, ed autore della prefazione del libro “Mobile working. Lavorare ovunque in modo semplice e produttivo” , si parlerà di come i dispositivi mobile (smartphone, tablet, i-phone etc.) possono diventare uno strumento di lavoro fondamentale se adoperati seguendo un decalogo di regole fondamentali. E più in generale si discuterà del motivo per il quale non si può rimanere ancorati ad una univoca visione del lavoro, intesa come il classico “posto fisso” che non può essere più considerato l’unico approdo sicuro.

Classe 1979, Cristiano Carriero è un esperto in formazione che nella propria vita professionale ha più volte cambiato veste, dal lavoro dipendente al libero professionista freelance e viceversa. Dall’indole proteiforme, versatile, ma con le idee chiare e una progettualità che nel corso del tempo si è delineata sempre meglio, Cristiano ha conosciuto, scritto, raccontato tutti i mutamenti paradigmatici che il mondo del lavoro ha attraversato negli ultimi dieci anni, e che ha vissuto in prima persona.

Molteplici gli incarichi professionali che gli sono stati assegnati ed altrettante le mansioni che si è ritagliato mettendo a frutto i suoi poliedrici talenti e le competenze acquisite: da copywriter in un Agenzia di Comunicazione ad Account Executive, editor content, storyteller, docente, formatore, autore di ben 11 pubblicazioni, tra cui “Local Marketing: strategie per promuovere e vendere sul territorio” (Hoepli, 2017), di cui è coautore  con Francesco Antonacci; “Content Marketing: promuovere, sedurre e vendere con i contenuti” (Hoepli, 2016); “Facebook Marketing: comunicare e vendere con il social network n.1° (Hoepli), di cui è coautore con Luca Conti,  e molto altro ancora. “Mobile working. Lavorare ovunque in modo semplice e produttivo” (Hoepli, 2017), che si propone di dare alcuni suggerimenti utili ad ottimizzare l’utilizzo della strumentazione digitale  per ottimizzare i tempi e la qualità del lavoro.

Laurea in Lettere conseguita all’Università di Bari, un Master in Marketing e Comunicazione, nonostante la sua giovane età, Cristiano ha un background molto vasto. Attualmente, tra le altre mansioni, Cristiano Carriero è Membro del Direttivo Operativo e formatore dell’Associazione FiorDiRisorse. Alpi Fashion Magazine lo ha intervistato per capire come il mobile working possa agevolare le dinamiche interne ed esterne ad un’azienda e come possa essere utilizzato anche in un contesto di lavoro subordinato.

Cristiano, sei stato invitato a partecipare come relatore ad uno degli incontri previsti nella rassegna Colloqui di Lavoro. Quando è nata la collaborazione con FiorDiRisorse e quale opportunità rappresenta per te?

Per me è un onore e una grande opportunità essere associato ad altri autori, come Paolo Iabichino ed altri autori che hanno scritto pagine importanti per le aziende italiane. Sarà una bella sfida anche perché mi affiancherà Osvaldo Danzi. Noi partiamo da due modi abbastanza diversi di intendere il lavoro. Lui per me è come un fratello maggiore. A volte ci scontriamo perch évede in me una figura un po’ al confine con i Millennials.

È bello poter discutere con lui perché come sempre dice ciò che pensa. Proprio per questo ho voluto fortemente che fosse lui a scrivere la prefazione del mio libro, perché sono una persona che cerca sempre il contradditorio. E devo dire che è quella la parte più bella del mio libro, in cui viene spiegata la differenza tra “fare il freelance” ed esserlo. Essere freelance è un’attitudine che oggi è sempre più importante e decisiva nel mondo del lavoro, anche per chi ha il cosiddetto “posto fisso” o per lo meno alcune certezze lavorative. Ed è l’attitudine di chi deve guadagnarsi da vivere quotidianamente.

Essere freelance vuol dire anche avere un’apertura mentale, una capacità di dinamismo che consente di reinventarsi al meglio delle proprie possibilità. Ma è anche una continua sfida con se stessi. Quanto è importante oggi sapersi adattare ad un mercato del lavoro in continua evoluzione?

Non voglio fare la differenza tra chi è freelance e chi non lo è, anche perché mi sono trovata in entrambe le situazioni e si impara molto nell’uno e nell’altro caso. Ma quando si è freelance ci si mette alla prova e si acquisisce la capacità di gestire il tempo in maniera diversa. Quando si è abituati a stare sempre in azienda e ad essere stipendiati tante volte si tende a lasciare che il tempo trascorra e in determinate situazioni si guarda l’orologio e si attende l’orario di uscita. Con la mentalità del freelance il tempo conta e ogni singola ora può fare la differenza. Se non si ha voglia di lavorare semplicemente si esce a fare una passeggiata e quelle ore non saranno perse ma utilizzate in modo produttivo in un altro momento della giornata.  Credo che tutti almeno una volta nella vita dovrebbero fare un’esperienza simile per capire cosa c’è dietro l’importanza del tempo e delle ore, ed utilizzare l’esperienza vissuta anche quando si andrà a svolgere un lavoro dipendente.

Prima hai accennato ad un confronto quasi “generazionale” con Osvaldo Danzi per quanto riguarda la tua vicinanza  ai Millennials. Ci puoi spiegare questo aneddoto?

Mi sono trovato all’età di 28-29 anni nel mezzo dell’esplosione dei social, quando le aziende hanno cominciato a fare attenzione a questi strumenti e ho iniziato a studiare questo fenomeno scrivendo anche dei libri. Ciò mi ha portato ad essere definito un “social media manager” e a farlo come lavoro. Oggi posso dire che a distanza di 10 anni se continui ad essere un social media manager rischi di entrare in una fase di “stanchezza” dove, come dice Osvaldo, i sociali media manager rischiano di dialogare solo fra di loro, come se fossero in una sorta  di club privato. Lui mi ha dato dei consigli importanti, come quello di evolvermi nel mio lavoro e di essere più vicino all’azienda. E’ un lavoro che deve essere fatto nel pieno della voglia di trascorrere dieci ore davanti ad un computer.

Qual è oggi il ruolo del social media manager e in che modo dovrebbe evolversi?

Oggi si pensa ancora che i social media manager siano coloro che gestiscono le pagine facebook. Non è così. Si tende a ricordare solo la parola “social” e si tralasciano le parole “manager” o “marketing” (nel caso del social media marketing), che sono quelle più importanti per capire il ruolo e la funzione svolta. Un manager è colui che gestisce persone. I social sono realtà molto complesse, dietro le quali ci sono tattiche, strategie ed azioni; e dietro il social media manager c’è il monitoraggio, il rapporto con le aziende e i loro valori. E poi c’è un team che prevede tanti social media operativi, la maggior parte dei quali sono giovani entusiasti che ti danno una mano perché parlano con il linguaggio del target di riferimento.

Il social media manager quindi non dovrebbe essere solo un amministratore ma colui che motiva ed aiuta le risorse umane a crescere?

Credo proprio di sì. Mi sono ritrovato con tanti giovani stagisti usciti dalle università, e devo dire che sono cresciuto insieme a loro, scoprendo ed aiutando le risorse a capire chi ha davvero l’attitudine a svolgere un lavoro di estrema fatica, che spesso passa come un gioco. Il social media manager è un valorizzatore; deve saper lavorare e al contempo divertirsi, ma deve farlo 24 ore  su 24.

E deve anche spronare il lavoro di squadra…..

Questo dipende anche dalle aziende e secondo me le realtà aziendali sono un po’ indietro. Non sono tante quelle che hanno un reparto social interno e quando ce l’hanno, nelle piccole e medie imprese, comprendono una, massimo due persone.

Come mai non si investe sulla parte “social” dal punto di vista manageriale?

Non si investe perché viene considerata una skill per  giovani e tante  volte ci si affida all’agenzia esterna oppure si prende il classico cugino bravo con il computer.

Probabilmente in Italia non c’è neppure ancora la cultura del mobile working. Tu hai scritto un libro a riguardo. Come questa nuova modalità può aiutare, come hai sottolineato nel sottotitolo del tuo libro,  a  “lavorare in modo semplice e produttivo” ?

Innanzitutto dico sempre che il mobile working non è lo smart working, quindi non significa banalmente il lavoro da casa e  neppure lavorare da luoghi esotici come si tende ad immaginare. L’uso del mobile, quindi dello smartphone, consente di ottimizzare una serie di operazioni,di renderle più veloci ed aprire il computer solo quando è necessario, spesso e volentieri ma non sempre. Non tutti però conoscono le potenzialità di questi strumenti. Ad esempio, non tutti sanno che sui loro smartphone si possono installare delle app che consentono di leggere le mail di lavoro. Da un lato, influisce la questione della privacy. Molti non vogliono essere “beccati”, quando sono a casa. Dall’altro, c’è la componente della pigrizia.

Quali sono i rischi dell’utilizzo del mobile working?

L’uso del mobile working è una grande possibilità, ma non deve diventare una schiavitù. Il primo rischio del mobile working è anzitutto il multitasking. Chi pensa che con questo strumento si possano compiere più azioni contemporaneamente, come parlare al telefono, scrivere, leggere le mail e le notifiche su facebook, mandare un messaggio vocale su Watsapp, non riuscirà a trovare un focus. Il secondo rischio è l’attenzione al rispetto delle persone. Conosco gente che siccome “comanda” riempie i propri dipendenti di messaggi vocali, il ché è molto antipatico. Il messaggio vocale costringe ad interrompere un’azione e può creare dei problemi perché non ha un’anteprima, così come possono creare dei problemi le chat se utilizzate assiduamente da persone che non hanno la pazienza di aspettare e di capire che in quel momento non si risponde perché probabilmente si sta facendo altro. E viceversa, c’è gente che non ha l’abitudine a rispondere ad una richiesta in tempi ragionevoli, in genere entro le 48 ore.

C’è differenza tra i mobile working e il co working?

Sono due cose differenti, ma se dovessi dare un consiglio ad un freelance che si trova di fronte alla possibilità d scegliere tra il lavoro da casa e quello in uno spazio condiviso scelgo la seconda perché lavorare da casa non è sempre positivo, a meno che non si svolga un’attività che richiede molta concentrazione. Consiglio sempre, se è possibile, la scelta di lavorare, assieme ad altre persone, in uno spazio condiviso. Ritengo che lo spazio sia una interessante moneta di scambio e che stare in un posto diverso dal classico ufficio, lavorare insieme agli altri e poter usufruire di alcuni vantaggi come il contributo per il fitto di una stanza, detrazioni su acqua, luce e wi fi sia una ricchezza.

Il mobile working può essere utile, oltre che per  i freelance, anche per i lavoratori dipendenti? A che punto siamo in Italia?

Secondo me è utilissima come attitudine per tutti coloro che sono in giro tutto il giorno, viaggiano e prendono treni. Purtroppo però in Italia siamo assolutamente indietro poiché siamo legati all’idea che se sei in un posto stai lavorando, mentre se sei fuori dall’ufficio fai altro.

Ci sono pregiudizi nei confronti del mobile working?

È un termine ancora poco conosciuto, ma penso che da parte delle aziende ci sia una sorta di pregiudizio a far lavorare i propri dipendenti da altri luoghi. Quelle aziende che oggi attuano il mobile working lo fanno più per pubblicizzarsi e non ci credono per davvero, anche se ci sono realtà importantissime che lo hanno fatto e anche molto bene. Ma ci sono una marea di opportunità da sfruttare. Non ultima quella di far lavorare i propri dipendenti in un’azienda estera. Se tutte lo facessero sarebbe un grande arricchimento per l’azienda, per i clienti, per i fornitori; un modo per conoscere altre lingue e altre culture.

È errato dire che questa modalità di lavoro comporta una sorta di delocalizzazione delle risorse umane?

L’espressione è esatta se però smettiamo di intende il mobile working in modo coatto. Se non la pensassimo come una costrizione, ma come una eventualità che potrebbe esserci, sarebbe una fonte di ricchezza. Ma oggi non sono solo le aziende ad essere indietro, lo è anche la nostra capacità di organizzare una Conference School.

Una modalità che potrebbe rivelarsi utile non solo nelle riunioni di lavoro ma anche ai fini di un percorso didattico-formativo nelle scuole, durante i master, i corsi di aggiornamento e le qualifiche di apprendistato professionale…

Ci sono dei passaggi su cui non si riflette mai, come la prospettiva aziendale, la capacità di scrivere le email e quella di organizzare delle conference school efficaci. Manca l’aspetto legato alla formazione ed è questo il motivo per cui gli studenti universitari escono impreparati dall’università sotto questo punto di vista. Quella della conference school in effetti potrebbe essere insegnata come attitudine, premesso che come tutte le attitudini può essere migliorata nel tempo.

Qual è il ruolo delle nuove tecnologie, anche quelle legate all’Industria 4.0, per quel che riguarda il mobile working?

È un ruolo decisivo perché senza questi strumenti non potremmo parlare di Mobile working. Non esiste un dispositivo migliore o peggiore di altri, c’è solo quello con cui mi trovo meglio a lavorare. Posso lavorare meglio con il sistema operativo perché ce l’ho installato sul computer, sul telefono o sul tablet, e se mi permette di visualizzare le stesse cose da device diversi. Penso che sia il tempo di tenere queste funzioni tutte insieme su uno stesso dispositivo e dopo una certa ora, se non mi va più di lavorare, chiuderò tutto e continuerò il giorno dopo.

Nella premessa del tuo libro è descritto una sorta di decalogo di buone norme pratiche del mobile worker. Puoi spiegarcene alcune?

Prendiamone in considerazione tre molto semplici: la prima è la possibilità di condividere sul telefono gli stessi file che hai sul computer. E questo introduce il secondo consiglio, basato sulla regola dei due minuti di David Allen, ossia se hai la possibilità di svolgere un compito in due minuti, fallo e non rimandare creando dei promemoria sul proprio dispositivo che fanno perdere più tempo a scrivere che a fare. Il terzo consiglio è di sfruttare al massimo le potenzialità che la tecnologie ci offrono, ovvero se ho un registratore ho la possibilità di registrare anziché prendere appunti; se devo comunicare ad un mio dipendente di fare un determinato lavoro e ritengo che chiamarlo sia una perdita di tempo, gli mando un video di 30 secondi in cui gli descrivo brevemente cosa deve fare. Gli strumenti ci sono ma non sempre si utilizzano.

Quanto il mobile working può aiutare il lavoratore a gestire al meglio delle sue potenzialità il rapporto tra vita lavorativa e vita privata?

Non è tanto il mobile working quanto la nostra volontà di tenere i due aspetti distinti e separati e di fare possibilmente le cose al momento giusto. Il mobile working aiuta perché dà la possibilità di accedere alle informazioni in qualsiasi momento. E questo è un grande passo avanti rispetto a cinque anni fa, quando per reperire alcuni dati importanti ci si recava in ufficio a qualsiasi ora e anche nei fine settimana per accendere i computer aziendali. Oggi si può accedere 24 ore su 24. Il mobile working ci dà la possibilità di decidere come gestire il nostro tempo.

www.fiordirisorse.eu

Marianna Gianna Ferrenti

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Marianna Gianna Ferrenti
Sono una giornalista pubblicista lucana. Dopo alcune esperienze sul territorio, ho allargato gli orizzonti, affacciandomi nel 2012 al mondo del social journalism. Laureata magistrale in Scienze filosofiche e della comunicazione, dopo un corso di Alta Formazione in Graphic Design ed Editoria digitale, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, ho arricchito il mio background con competenze tecniche nell'ambito della scrittura digitale

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