Dopo tre anni di scatti quotidiani, l’entusiasmo e la voglia di continuare non gli mancano. Stiamo parlando del “non fotografo” Luca Abete, conosciuto ai più per i servizi televisivi in terre campane, realizzati per il tg satirico Striscia la notizia, in onda su Canale 5. Nel dicembre 2013 Luca ha festeggiato il terzo genetliaco del suo progetto One Photo One Day con un’esposizione inedita dei suoi ultimi 365 scatti. A ospitare la mostra, svoltasi nella Capitale fino al 6 gennaio scorso, lo spazio polifunzionale Visiva, la città dell’immagine. Durante l’inaugurazione l’autore ci ha spiegato ragione e sentimento del suo progetto.

Come è nata l’idea di One Photo One day?

Ancora i social network non esistevano quando, qualche anno fa, ogni lunedì inviavo una mail ai miei contatti con le più belle foto scattate durante il weekend: al cinema, in discoteca, mentre mangiavamo una pizza. In sostanza era una sorta di SocialAbete. Quando il 1° dicembre 2010 ho cominciato a pensare di fotografarmi tutti i giorni avevo in mente di raccontare la mia vita day by day per un anno, alla fine del quale avrei chiuso il ciclo di questa specie di sfida. Un giorno incontrai per strada un venditore abusivo di ombrelli, sistemai la fotocamera su una cassetta elettrica e l’autoscatto fece il resto. Così nacque la prima fotografia del progetto One Photo One Day. Non immaginavo che dopo tre anni sarei arrivato a rilasciare interviste su questa mia esperienza e che qualcuno sarebbe stato interessato alla mia testimonianza di “non fotografo”. Questo per me è un grande regalo…

Cosa racconti nelle tue immagini?

A volte è solo un gioco, uno scherzo. In altri casi, invece, ho la possibilità di segnalare, attraverso la fotografia, gravi situazioni che non dovrebbero esistere. In alcuni scatti racconto la mia vita quotidiana, dal lavoro alla famiglia. 
L’importante per me è comunicare. Vorrei tanto che il 2014 avesse come slogan un urlo collettivo: “Più comunicazione per tutti!” Che avvenga con una telefonata, una mail, con la pubblicazione di una foto su un social network, con un abbraccio o un bacio, non importa. Conta solo, a mio avviso che si comunichi, tanto e bene!

1472012_10152075611469513_1937544707_nCome hai cominciato la tua carriera che poi ti ha portato a diventare uno degli inviati del tg satirico Striscia la notizia?

Da ragazzo lavoravo come clown per i bambini e giocavo con loro negli interminabili matrimoni tipici delle mie zone. Quando ho capito che questo genere di lavoro mi piaceva, però, non avevo idea che potessi arrivare a farlo in televisione. Questo per me è stato un altro importante regalo della vita.

In occasione di alcuni miei interventi nelle Università italiane dico spesso agli studenti che nella vita è importante, qualunque cosa si faccia, crederci veramente e dare il massimo con costanza e un po’ di creatività – che non guasta mai – sempre col sorriso stampato sul volto. Così facendo si può raggiungere qualsiasi tipo di risultato. Io sono l’esempio vivente di quanto affermo: se sono riuscito a passare dai matrimoni infiniti a Canale 5, se da una foto scattata per gioco, dopo tre anni mi ritrovo in mostra nella sala espositiva di Visiva, a Roma, davvero si può fare di tutto!

Dal primo autoscatto del 2010 all’ultima foto cosa è cambiato, e com’è cambiato Luca?

Le foto sono diventate più “luccicanti” e hanno più occhi addosso. In buona sostanza rispecchiano la mia vita: lavoro davvero molto, amo il mio mestiere che equivale alla mia vita; il Luca-clown aveva venti bambini che sorridevano mentre mangiavano pop corn e ascoltavano le mie battute, il Luca-inviato di Striscia ha fino a sei milioni di telespettatori che lo guardano in televisione. Io sono sempre lo stesso, quello che è cambiato è l’attenzione che ruota attorno alle mie attività. Ciò, da un lato mi sorprende, dall’altro mi gratifica, mi emoziona e mi fa capire, a costo di ripetermi, che anche gli obiettivi irraggiungibili possono diventare palpabili grazie a un’idea e al modo di inseguirla, con caparbietà e decisione.

1473019_10202860799667745_678496506_nQuesti tuoi scatti sono nati in digitale. In occasione della mostra a Visiva sono stati stampati con l’innovativo metodo tonki (www.tonki.it). Che effetto ti fa vederli tutti insieme?

Questa è la prima volta che vedo stampato un intero anno di One Photo One Day! Per me che ho una mente geometrica, organizzata, squadrata, ti dico la verità, è stata un’esperienza esaltante: a Visiva le immagini sono state allestite affiancandole le une alle altre come a creare una timeline lungo tutto il perimetro della sala. Immagino, magari per la prossima esposizione, una parete fatta di tanti quadrati vicini, come un alveare…

Perché la memoria è così importante per te?

A mio avviso è importante per tutti, magari qualcuno non la valorizza a sufficienza. Facciamo un esempio: se incontri un vecchio amico è bello ricordare, grazie ai suoi racconti, le esperienze vissute insieme, gli episodi o le situazioni che avevi dimenticato. Io, oltre agli amici in carne e ossa, ho tutti gli scatti del progetto che mi raccontano cosa mi è successo negli ultimi tre anni.

Sono tempi da selfie, questi. Basti pensare al chiacchierato autoscatto – ripreso da Roberto Schmidt/AFP Photo – dei primi ministri rispettivamente inglese, David Cameron e danese, Helle Thorning-Schimidt, e del Presidente USA, Barack Obama allo stadio Soccer City di Johannesburg durante una delle celebrazioni in memoria del grande leader sudafricano Nelson Mandela, recentemente scomparso.
Per non parlare delle starlette che sempre più spesso condividono le loro istantanee sui social network. Interfacciarsi col proprio volto attraverso l’autoscatto, insomma, è sintomo del bisogno di affermare la propria esistenza.
Col tuo One Photo One Day hai anticipato la moda del selfi in qualità di non-fotografo. Hai mai avuto voglia di entrare a far parte del mondo professionale della fotografia?

Mah, non ho mai amato molto le etichette, per me pure un piatto di spaghetti caduto per terra può essere una sorta di forma d’arte involontaria di una massaia distratta. Il lavoro che svolgo ora mi fa stare bene. Sono sostanzialmente un’autodidatta, ho sempre provato a esprimere la mia creatività, comunicando, come dicevo prima, con i mezzi più vari. È questo, certamente mi caratterizza.

1485092_10202860804427864_891801283_nSiamo in un periodo in cui restare chiuso in una casa per cento giorni con una telecamera che ti riprende h24 regala la notorietà, sia pure per un tempo limitato. Una fama da fast food che si consuma nello stesso momento in cui si produce. Qual è la tua formula per restare te stesso?

Rilancio quanto dici, rispondendoti con una domanda: “Perché montarsi la testa?” Penso che le persone che ne avrebbero diritto sono, ad esempio, i medici che ogni giorno salvano vite umane, oppure gli uomini e le donne che tutti i giorni mettono un piatto a tavola e mandano avanti una famiglia. Noi siamo persone fortunate, facciamo un lavoro bello e faticosissimo, più impegnativo di quanto si possa immaginare, ma che vede la riconoscenza quotidiana da parte di tanti telespettatori. Quindi, non posso che essere contento, il mio staff è tartassato dalla mia voglia di fare tanto e bene. Quando lavori così, non hai tempo per vantarti. Almeno questo succede a me, fermo restando che ognuno è libero di interpretare la notorietà come crede.

INFO

La mostra One Photo One Day è stata esposta negli spazi di Visiva, a Roma, dal 12 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014. È possibile vedere tutte le foto del progetto One Photo One Day sul sito www.onephotooneday.it oppure su flickr all’indirizzo www.flickr.com/photos/onephotooneday

Per informazioni su Visiva, la città dell’immagine, visitate il sito www.visiva.info/jm

In questa galleria una serie di immagini tratte dal progetto One Photo One Day di Luca Abete. Per vederle tutte: www.onephotooneday.it

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Loredana De Pace
All’anagrafe oggi sono Loredana Maria De Pace in Martinez Carvajal, ma quando sono nata, qualche decennio fa, ero Loredana De Pace. Ho sempre amato l’arte, positivamente influenzata da un papà creativo, poeta e pittore, e da una mamma insegnante di musica e canto. Da ragazza ho ricevuto in dono la prima reflex: una Yashica FX-3 Super 2000. Con “lei” ho trascorso lunghi pomeriggi sulle rive del mar Jonio, nella mia terra d’origine, la Puglia: la prima rivelazione concessami dalla Fotografia. Negli anni successivi ho fotografato di tutto; la camera oscura è arrivata con l’Accademia di Belle Arti. Poi è stata la volta della sperimentazione e dei primi progetti compiuti, seppure acerbi. Per inseguire il mio sogno, ho raggiunto la Capitale, dove ho approfondito le mie conoscenze in campo fotografico frequentando i corsi dell’associazione culturale Officine Fotografiche. A Roma ho cominciato anche il mio percorso lavorativo; inutile dire che le esperienze sono state le più varie, dalla fotografia nei villaggi turistici, alla realizzazione di immagini di copertina per diversi libri, fino ai primi progetti importanti, quelli che mi hanno condotta lontano, in Ecuador (Sud America). Tornata in Italia tutto è cambiato… Sono certa che sia importante ambire a buone immagini senza mai accontentarmi di una sola prospettiva di visione. Credo molto in questo concetto, tanto da farne una regola fondamentale della mia esistenza. Per questo motivo, alcuni anni orsono ho cominciato a cercare un altrove, tanto nella fotografia quanto nella vita. Esiste pure una biografia meno ufficiale nella quale si afferma che io sia una cittadina del mondo che ama viaggiare, intraprendere nuovi percorsi interculturali, e che ha fatto della fotografia e della cultura fotografica la ragione della sua vita.

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