Grilli, tarantole, scorpioni, millepiedi e tanto altro.
Da gennaio 2018 arriverà la cucina a base di insetti; un regolamento europeo aprirà le porte al consumo di insetti nella nostra ristorazione.
I sondaggi dicono che, tra gli italiani, il 16% è favorevole a sperimentare la novità, una minoranza curiosa e convinta che la liberalizzazione del consumo di un prodotto, finora estraneo alla nostra cucina, sia un segno di apertura alle tradizioni di altri paesi, fondate su quelli che, per loro, sono validi motivi nutrizionali.
Sembra, infatti, che i piccoli animali, che a molti di noi spaventano anche fuori dai piatti, siano ricchissime fonti proteiche e vitaminiche e che il loro gusto sia ormai apprezzato da oltre due miliardi di persone nel mondo.
Che bisogno c’è di utilizzare ingredienti di cui in realtà non abbiamo bisogno?
Proteine e vitamine sono già presenti in abbondanza nella nostra cucina.
Qual è l’esigenza, quindi, se non quella di creare nuove mode e confondere ancora la nostra cultura culinaria che già si è dovuta adattare a novità come il sushi, non tanto per volere dei ristoratori ma per una scelta obbligata di adeguamento ad una richiesta spesso modaiola e alla concorrenza puramente commerciale.
Dobbiamo ricordare che l’Italia è uno dei paesi più evoluti dal punto di vista enogastronomico e con una grandissima varietà di prodotti locali e di ottima qualità, sia dal punto di vista nutrizionale che per le proprietà organolettiche; una tradizione conosciuta in tutto il mondo e basata sul lavoro di sperimentazione di tutti quei professionisti che hanno fatto dei nostri piatti un’arte che fa parte della nostra cultura.
L’Italia non si limiterà alla preparazione dei nuovi piatti; è molto probabile, infatti, che sorgeranno aziende di allevamento e produzione di derivati degli insetti come farine, paste, snack e altro.
Sono molti i grandi chef italiani contrari, definiscono l’alimentazione a base di insetti una tradizione consolidata in alcuni paesi e non una nostra esigenza nutrizionale.
Un altro problema è la tracciabilità, quindi capire la provenienza e il metodo di produzione, si parlerebbe, infatti, di un alimento che, come qualsiasi tipo di cibo, deve essere sicuro.
Sarà quindi opportuno conoscere le origini e le caratteristiche di tutto ciò che finirà nei piatti degli italiani che vorranno adeguarsi alla novità, gustare qualcosa che ritengono innovativo, forse con poca acquolina in bocca ma con tanta voglia di essere trasgressivi.
Come dice lo scrittore Daniel Pennac:
“Se oggi l’uomo non mangia più l’uomo è perché la cucina ha fatto dei progressi”.
Quale progresso può esserci nel tornare a mangiare come nel paleolitico, quando gli uomini si cibavano di insetti per sopravvivere alla carenza di cibo nelle avversità dei cambiamenti climatici?
Daniela Marras