Precarietà è la parola che esplode come un missile nel nuovo millennio, un millennio che proprio perché nuovo avrebbe dovuto rappresentare una speranza.

Speranza di riscatto, riscatto da un mondo nel quale è difficile esprimersi, per quanto impossibile sia essere se stessi.

È precario l’amore, con le sue mille sfaccettature e il suo unico grande fine.

È precario il lavoro che dà futuro e riscatto sociale.

È precaria la salute, per la quale tantissimi in ogni parte del mondo muoiono, soffrono per malattie che probabilmente sono causate dall’egoismo, che porta a non curarsi di chi ci sta intorno, di non prendere troppo sul serio le circostanze.

Se solo alzassimo lo sguardo, per un momento soltanto, siamo pronti a osservare e successivamente a comprendere che quella precarietà che tanto inquadra il nuovo millennio in realtà è pervasa da una moltitudine di persone che vivono, vivono di qualcosa che possa dare l’impressione per un solo attimo di essere circondati di una speranza intrinseca, desueta.

Solo cosi possiamo ben comprendere che quella precarietà può essere oltraggiata, se solo noi, seduti su di una panchina al parco, con la musica a palla nelle orecchie, per un attimo veniamo colti dall’impressione di dover acquisire una nuova coscienza per capire che se noi siamo qui è per cambiare realmente le cose, cambiare faccia, cambiare tutto quello che si può, perfino allo stremo delle forze; per non morire di rimpianti, per non vivere in modo precario.

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Stefano Fiori
Stefano Fiori. Questo è il nome. Di solito non mi piace scrivere di me, la trovo pura esibizione di se stessi, ma è anche un modo per farmi conoscere ai lettori di ALPI FASHION MAGAZINE. Non mi reputo un ragazzo come tanti, e fin da piccolo ho coltivato l’idea che trascorrere del tempo con se stessi, con la propria individualità fosse un fatto affascinante, e da cui ne sto traendo qualche frutto. Scopri cose di te stesso, che probabilmente mai nessuno saprà mai. Impari che persino il silenzio ti entusiasma, ma non quanto il rumore, che insieme hanno la particolarità di avvolgere la sensibilità che ti sei creato nel tempo. I libri sono sempre stati il mio nutrimento, la mia più grande ispirazione. Mondi nel quale rifugiarsi e vivere quando non sopporti più l’idea di vivere in silenzi immensi. I libri sono colore, uno per ogni stato d’animo. Il sorriso la mia caratteristica. Non c’è una fotografia, un vecchio filmato nel quale io non sorrida. Sono sempre stato un bambino sereno, nel senso che la mia eleganza consisteva, fin da piccolo nel procedere a passi felpati, per paura di disturbare, persino a casa mia, quello che poi sarebbe diventato il più grande regno degli amori, più che di semplici affetti. Col tempo scrivere è diventato quel modo di colmare quei vuoti, nei quali dominava l’inconsistenza più assurda. Un modo per emozionarmi, e talvolta emozionare. Scrivere mi aiuta ad amplificare il dislivello tra l’essere e l’apparire. Ciò che mi definisce, almeno fino a questo punto è una sensibilità maturata col tempo, ed un amore per la bellezza, per l’arte, per i sorrisi. Mi piace pensare che queste tre cose siano collegate e possano in qualche modo rendere più autentiche in quanto più consapevoli le persone, che muovono il mondo e gli danno dinamicità e pregio, gli danno vita. www.newstilepublications.com

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