Parafrasando il notissimo “cogito ergo sum”, per gli italiani e per chi ama il nostro Paese ben si adatta la sua rivisitazione in Arte ergo sum.
L’arte è il fiore all’occhiello dell’Italia che per millenni ha obbedito ai canoni della classicità.
A circa metà dell’Ottocento la rivoluzione industriale tuttavia impose canoni diversi, certamente demagogici, perché prevalse la consapevolezza di nuove realtà sociali da gratificare.
L’arte fu brutalmente umanizzata, sintonizzandola sul quotidiano e in qualche caso superando gli orrori del quotidiano.
Le conseguenze le stiamo scontando ancora oggi anche se si intravede una pallida richiesta di rivalutare la bellezza.
La stampa di cui gode il brutto è incredibile, tanto che a Boston è stato aperto nel millennio scorso, siamo nel 1993, il MOBA – Museum of Bad Arts – che presenta opere brutte e che vanta il paradosso del consenso di un vasto pubblico. La tesi di tale missione è che la bellezza e l’arte non possiedano più la magia e un valore catartico, ma debbano essere specchio della società, solo quella bruta però.
E’ una tesi che viene da lontano, dal Romanticismo, tanto che nel 1853 Rosenkratz, seguace di Hegel teorizzò “L’estetica del brutto”.
Il cammino da allora non conosce soste e pena essere tacciati di decorativismo, anche se tanto per fare un nome tra i tanti Richard Long ne è ben lungi, si creano ed apprezzano atrocità. È noto peraltro che un giornale delle buone o belle notizie ha poco appeal, ci prova tuttora Jacopo Fo onore al merito, mentre i giornali pieni di atrocità, i film con scene inimmaginabili, i tg rigorosamente seguiti ai pasti cui i bambini assistono vittime impotenti, vanno a ruba.
Duchamp avallò se pur con un’ampia dose d’ironia questo filone di pensiero e la sua Fontana, l’arcinoto l’ex orinatoio, raggiunse vette di consenso impensabili.
Eppure se si esce dal campo delle ahimè ex belle arti anche se tuttora resta il termine a indicare le accademie, bisogna riconoscere che nella moda, nel design, nell’architettura, come per i paesaggi, il bello e le capacità anche manuali regnano incontrastate.
Il “must” è riappropriarsi della bellezza anche per il mondo dell’arte.
Le ragioni sono tante… La prima e fondamentale è l’emergere della consapevolezza che l’arte è nel DNA di noi italiani. Ernst H. Gombrich dice che arte è comunicazione. Lo è sempre stata fin dai primordi, per cui guardo con occhi voraci ogni espressione, anche la pubblicità… e sarebbe auspicabile un festival della pubblicità che tocca ormai livelli sublimi in qualche caso. Arte e architettura didatticamente sono state maldestramente scisse in tempi recenti, ma erano e sono tutt’uno, basti pensare ad alcuni geni assoluti che racchiudevano queste discipline, poesia, letteratura, arti visive, scienza. Uno per tutti a Leonardo, a cui fischieranno perennemente le orecchie, e il cui CV è emblematico.
Naturale quindi che il nostro Paese sia uno scrigno di bellezza, grazie all’arte appunto e a chi ne ha permesso la fioritura.
Non ci sarebbero questi capolavori che attirano da sempre amanti da tutto il mondo, a cui purtroppo la maggior parte di noi è ormai assuefatta, se nel tempo qualcuno non li avesse commissionati. Non c’è artista senza committente mentre ahimè il contrario è possibile.
Ergo Arte dunque sono, o ars ergo sum, buon vecchio latino che sarebbe bene riportare agli onori della scuola perchè fisiologico alla nostra cultura e incredibile dictu, molto utile. Ma questo e un altro discorso.
Di qui la mia idea di capire chi sono i committenti oggi. Chi ha preso in mano il testimone che nel passato era in mano a papi principi imperatori aristocrazia mercantile, ecclesiastica o imperiale che fosse?
Indubbiamente la parte del leone oggi la fanno gli imprenditori. Osservando il mondo dell’impresa e dell’arte ho visto che artista e imprenditore hanno in comune molto di più di quanto uno potrebbe credere. Vediamo più da vicino queste caratteristiche e che sono per esempio curiosità, sperimentazione, coraggio, una sana ambizione e un altrettanto sano egoismo.
Bene, partendo da qui sono andata a caccia di imprenditori e artisti che rispondessero a queste caratteristiche basilari e anzi ho invitato gli imprenditori a scegliere il proprio alter ego nell’arte.
Così nacque ARTOUR-O, in qualche modo un po’ tutti noi, come piattaforma internazionale di progetti, ponte tra arte impresa e che fin dai primi vagiti si collocò a Firenze una volta l’anno ma il secondo appuntamento dell’anno si realizza all’estero dal 2006. Tre volte la Cina, due Londra, una Montecarlo, Merida in Extremadura, Praga, Portofino, Barcellona, Madeira a Funchal, Malta Valletta, Matera e di nuovo a Malta ARTOUR-O IL MUST – MUSeo Temporaneo – iniziava a sgambettare che fu affiancato dal MISA Ipotesi Dinamica, un progetto che al contrario del MUST che raccoglie diverse identità, esplora volta per volta l’identità dell’impresa in loco. Ad oggi sono state 30 le edizioni in 15 anni e la XXXI coincide con ARTOUR-O VOLA! anni, mentre i MISA contano 20 presidii d’arte in 6 regioni, tra aziende e comuni. ARTOUR-O segna il proprio cammino con le targhe d’argento, come i MISA d’altro canto, ma la differenza si hanno grazie a contenuti assolutamente diversi ma il concetto e identico : l’arte è il DNA dell’Italia.
Così nasce ABC 360° il MUSiAT ad Alice Bel Colle che racchiude entrambi i progetti e di cui parleremo prossimamente.
In questi anni sono emersi degli italiani straordinari, imprenditori e artisti che in qualche caso sono entrati in simbiosi e hanno fatto qualcosa di notevole. Impareremo a conoscere un’Italia di cui difficilmente si ha notizia sui giornali.
Tiziana Leopizzi