“C’è gente che ama mille cose e si perde per le strade del mondo”; cosi diceva una canzone che risulta essere una bellissima poesia di Sergio Endrigo del 1962, interpretata da un Marco Mengoni elegantissimo, che dopo un anno torna su quello stesso palco che lo aveva proclamato vincitore della 63 edizione del festival della canzone italiana.
Una serata, quella di ieri, omaggio alla canzone d’autore Italiana, nella quale i campioni in gara hanno interpretato alcuni dei pezzi che hanno fatto la storia della musica, dando merito solo alla bellezza.
Questa quarta puntata celebra il cantautorato italiano con un esponente della “scuola genovese” Gino Paoli che caratterizza la sua “arte” con quel filo di blues che entra in contatto con quel soul che lo contraddistingue, e dal panorama della musica internazionale emoziona con la sua chitarra un Paolo Nutini al di sopra delle aspettative di chiunque lo abbia ascoltato, anche per la qualità emotiva dei pezzi interpretati e dalla sua capacità di arrivare a tutti.
Con il “cielo in una stanza” in un attimo vedo il mare, un cielo stellato, il blu, ma sto sognando abbandonato nelle tue mani, mentre qualcuno suona una dolce melodia, e in un attimo, l’immensità del cielo.
La bellezza, abbiamo capito, è protagonista indiscussa del festival e a metà serata prima dell’uscita delle nuove proposte, un Luca Zingaretti commosso rese omaggio a Peppino Impastato, ucciso senza motivo dalla mafia, dai poteri forti, ai quali, purtroppo, pochi si oppongono ancora oggi.
http://www.youtube.com/watch?v=Ndjq0-PcL4o
Nella serata dei cantautori non poteva mancare Domenico Modugno interpretato da un Raphael Gualazzi che evidenzia ancor di più l’intrammontabilità del pezzo conosciuto in tutto il mondo: Volare, nel blu dipinto di blu.
Le nuove proposte sono state il vero punto cardine di questa edizione, sperando che realmente si dimostrino il vero passaggio del testimone della nuova generazione di musicisti Italiani di pregio.
Il leone d’oro lo ottiene un Rocco Hunt pazzo e struggente allo stesso tempo, figlio di una generazione di “rapper” che dilaga in Italia da un po’ di tempo a questa parte, come conseguenza del contesto storico che raccontano nelle proprie canzoni il malcontento generale in modo diretto e partecipativo.
La trasparenza sembra diventato l’unico modo per comunicare e niente sembra essere compreso da un linguaggio metaforico e, delle volte, meno aggressivo.
A questo punto, non mi rimane che sostenere la tesi del rapper salernitano: “Siamo la terra del sole, non la terra dei fuochi!” e questo è “Nu Juorno buono” per farlo comprendere.