Articolo di: Gabriele Vinciguerra
Quando anche la verità si veste per piacere
Nell’epoca della sovraesposizione e della verità fabbricata, l’eleganza non è più stile, ma sopravvivenza. I brand vendono autenticità, i modelli performano libertà. Ma dove si trova, oggi, un luogo per ciò che è davvero reale?
L’eleganza non è scomparsa. Si è nascosta.
Viviamo in una società dove tutto si mostra, si dichiara, si trasforma in racconto. Anche la verità. Anche il dolore. Anche lo stile.
E allora l’eleganza, per non diventare l’ennesimo hashtag, si è fatta silenziosa.
Non è più una questione di gusto, ma di resistenza interiore.
Un gesto sottrattivo. Un non cedere.
È rimasta lì dove non guarda nessuno: tra le rughe che non chiedono perdono, in un tono di voce che non compete, nel modo in cui qualcuno sta dentro al proprio corpo anche quando quel corpo non va di moda.
I brand e il marketing dell’autenticità
I brand più evoluti oggi non vendono più abiti.
Vendono storie, narrazioni, “identità fluide”.
Corpi non convenzionali, messaggi di inclusività, estetiche ibride. Tutto bellissimo.
Tutto già previsto.
Dietro le nuove campagne che parlano di libertà e verità, spesso si nasconde una nuova forma di controllo:
“Sii diverso, ma fotogenico.”
“Sii autentico, ma sempre coerente col brand.”
In psicologia si chiamerebbe illusione di scelta: l’idea di essere liberi mentre, in realtà, ci si sta muovendo all’interno di una narrazione già scritta.
L’eleganza, se davvero è libertà, non può essere qualcosa che si adatta a un piano editoriale.
Modelli sociali: l’altra faccia della pressione
I nuovi modelli che invadono feed e campagne sembrano progressisti, liberi, audaci.
Ma anche loro devono piacere. Funzionare.
Restano dipendenti dal consenso.
Quella che dovrebbe essere una forma di liberazione estetica si trasforma in una nuova gabbia performativa:
devi essere vero, ma nel modo giusto.
Intenso, ma filtrabile.
Crudo, ma elegante.
E chi non si riconosce in tutto questo?
Chi non vuole esibire il proprio dolore come estetica?
Resta fuori campo.
“L’eleganza autentica non si vede subito.
Si sente nella coerenza tra ciò che si prova e ciò che si mostra.
È una questione psicologica, non estetica.
Ed è per questo che oggi è così rara.”
Giovani sommersi, non superficiali
Non è vero che i giovani non sanno più vestirsi.
Non è vero che non conoscono l’eleganza.
La loro è una battaglia continua per esistere senza essere schiacciati da aspettative estetiche irreali.
Vivono in un mondo dove tutto è esibito, valutato, monetizzato.
E dove anche la “libertà di essere” è diventata una coreografia.
Molti di loro vestono con ironia, rabbia, tenerezza.
Non cercano approvazione, cercano un luogo dove l’identità non debba essere vendibile per essere riconosciuta.
Dove può vivere l’eleganza, se non c’è più un luogo vero?
In passato, giornali, piazze, salotti erano spazi in cui l’identità si confrontava.
Oggi tutto accade sulle piattaforme, tra bolle e algoritmi.