Quando la comunità entra in dialogo con la poesia riscopre la bellezza e la potenza del silenzio. La poesia del silenzio. Quel silenzio che parla attraverso l’anima e rivela la sua natura più intima. Il silenzio degli angoli nascosti, laddove proprio le pietre parlano.
Il silenzio degli angoli nascosti laddove proprio le pietre parlano. Non profetizzano, non giudicano, non stigmatizzano. Raccontano sic et sempliciter, la memoria, la nostra storia. Dialogo e silenzio non sono ossimori ma tendono ad abbracciarsi, se la poesia si fa dialogo, e viceversa, il dialogo si fa poesia. Poesia della commemorazione, ma non solo anzi non proprio. Poesia di vita che va oltre la morte, permane, anzi sconfigge la morte.
E lo fa in punta di piedi, in silenzio, oppure con poche, timide, accurate parole. Parole che fanno tremare, non di paura ma di commozione. È questo il senso del terzo incontro organizzato dall’Associazione “Antistigma – Alda Merini”.
Il racconto di un diario, “Diario dalla quarantena” di Antonio Avenoso non vuole essere la cronistoria di quei giorni terribili, laddove il tempo, scandito dal silenzio, si è dilatato – il silenzio assordante della solitudine, di anime private della frenesia quotidiana e messe a nudo di fronte a se stesse – come ribadito da Carmela Sinisi il cui contributo è prezioso e da anni fondamentale per l’Associazione “Alda Merini”, come quello di tutti i soci e membri dell’associazione: Ettore Albergo, Paola Gammone (moderatrice dell’incontro), Antonella Sinisi, Antonio Ruggiero, Carmela Sinisi, Rosa Dileo, Loredana Lombardi, Chiara de Bonis, Claudia de Bonis, Cristiana Buompensiere, Gigi Alamprese, Nicola Troilo, Teresa Giambersio, Teresa Venturella, Antonella Russo, Antonella Marmo, GianLuigi Teora, Nicola Piccardo, Nicola Gammone, Rocco Divietri, Pasquale Pescuma, Rocco Time, Michele Zaccagnino, Michele Chito, Lara Diamante, Angela Divietri, Angela Tamburrano, Alessia Di Pierro, Nicla Marangelli, Nico De Sario, Nicola Laieta.
“Per non dimenticare i tanti morti per e con il coronavirus che non hanno avuto un fiore e i familiari vicini. Dopo il frastuono agostano, riprenderemo nei vicoli letture collettive ed animate. Dalle “Città invisibili” di Italo Calvino alla riflessione di “Elogio della follia” di Erasmo di Rotterdam con sorprese letterarie e poetiche” commenta la socia Maria Antonietta Dicorato.
Durante l’incontro, moderato per l’appunto da Paola Gammone e svoltosi in una delle perle del Borgo Antico, Largo Manfredi, la lettura di alcuni frammenti del libro si è intrecciata al racconto di vicende personali dei presenti che, in cerchio, seduti, di fronte a candele e petali, hanno voluto ricordare, commemorare, riflettere su come si è affrontata e si affronterà ancora questa fase epocale che molti vivono con timore, altri come un cambiamento, un rinnovamento nella mente e nello spirito, ed altri ancora, purtroppo, con ignavia ed indifferenza.
Il libro dello scrittore-poeta Avenoso non racconta soltanto le storie tristi di coloro che purtroppo hanno perso i loro cari “per” e “con” il Covid. Ma racconta come persone vicine e lontane, conoscenti, affetti più cari e amici più intimi, hanno vissuto quelle terribili giornate. Storie di tutti e in cui ognuno può riconoscersi perché ciascuno di noi può averle vissute seppure in modo molto personale e diverso dagli altri. C’è chi si è dedicato alla riflessione, alla lettura, al raccogliere le proprie idee per la scrittura, come ammesso da Avenoso.
Racconti scanditi dai frammenti di lettura, aneddoti di vite quotidiane frastagliate. “Una vecchia scrittrice avanti negli anni e con il pensiero sulla vita. La splendida luna delle sere dell’otto e nove di aprile: leniscono le notizie giornaliere sulle tantissime morti. Un giovane uomo, legge l’Espresso di qualche mese prima su una terrazza. La camorra, il suo insinuarsi, appena le povertà verranno fuori. Un fugace rapporto madre-figlia destinato a non risolversi. I vecchi che sgranano gli occhi increduli. Le morti di Bergamo, le morti italiane. Taranto che vede finalmente il suo cielo terso. Milano a non darsi pace. Napoli, l’Italia ferita, il Paese che vuole rialzarsi. Il borgo immerso in un silenzio diverso e nuovo. Sono solo alcune delle brevissime storie riportate in un libro di rara contemporaneità. C’è tutta la poesia e l’emotiva intelligenza a traboccare nelle pagine che Antonio Avenoso ci consegna a futura memoria”.
Non sono solo storie di melanconia, tristezza e solitudine, ma ci sono anche aneddoti più gioiosi e giocosi che hanno segnato il lento tornare alla vita dopo il totale lockdown. Una sera intima e colma di emozione, laddove le parole, significative, erano sospese dal suono del sax di Francesco Bruno. E poi lunghi e commossi silenzi, e lacrime di commozione quando una delle partecipanti ha raccontato una personale esperienza, personale, intima, familiare.
Nella prefazione si legge: “quello che non accade in mille anni può accadere in un attimo”, questo trova scritto Giorgia tra le pagine di un libro d’arte che sfoglia durante la quarantena. E così, in un attimo, proprio come in quelle pagine, tutto si è fermato. In un primo momento, incredulità e sgomento sono state le reazioni che hanno accompagnato la continua ricerca di fonti attendibili per conoscere la verità. Poi, è arrivata la consapevolezza: l’emergenza sanitaria. In un attimo tutti ci siamo trovati in un rallentato e dilatato, caratterizzato dal distanziamento e dall’isolamento”.
“Antonio Avenoso, con una coralità di voci, descrive questo tempo sospeso. Giorno dopo giorno, dall’8 marzo al 25 aprile, riporta pensieri, emozioni, riflessioni da una varietà di prospettive diverse, tutte accomunate dal fatto di essere testimoni di un evento storico senza precedenti: il mondo è in uno stato di pandemia”.
“Le microstorie raccontate da Avenoso sono accomunate da alcune parole-chiave. Parole-chiave, parole significative ed emblematiche che rimandano a vissuti per lo più dolorosi in cui l’isolamento e la paura amplificano il disagio e i pensieri inquieti”.
Tra le parole chiave vi è appunto “solitudine”, che a più livelli e che con ripercussioni più o meno gravi ha accompagnato il periodo della quarantena.
E altre parole come silenzio, che comunica molto più di tante, troppe parole, a cui il bombardamento mediatico ci ha sottoposto con il dipanarsi di numeri e conteggi: il conteggio dei morti. “Nel mondo delirante della comunicazione veloce si rincorrono comunicati, liquide notizie vanno e vengono, urge controllarle. C’è bisogno di silenzio”.
Altra parola chiave: “crisi” che storicamente non ha una connotazione negativa. La storiografia medievale, per esempio, le ha attribuito un significato epocale, di cambiamento, di passaggio verso un futuro. Un futuro di incertezze.
È lo stesso autore a spiegarlo. Nel silenzio assordante di una comunità spezzata nella sua quotidianità irrompe l’isolamento, ma lo “stare chiusi” nelle proprie case, mentre fuori è silenzio, porta a riscoprire il valore della familiarità e della prossimità, quella autentica. Chi si sentiva solo lo è stato ancora di più ma chi era in compagnia di se stesso e dei propri affetti più cari, anche nei momenti più critici non si è mai sentito solo. Tra gli interventi più significativi quelli di Carmela Sinisi, Rosa Dileo, Vincenzo Castaldi, Antonio Ruggiero. Testimonianze di come è stato vissuto questo periodo così delicato per l’Italia intera e per la vita di ognuno.
Per non dimenticare e non dimenticarci di ciò che è accaduto. Per non dimenticare noi stessi nel frastuono delle movide ferragostane.
Durante la serata, è stata presentata anche l’opera pittorica “Soluzione onirica” realizzata dalla giovane venosina Rosanna d’Andretta, studentessa dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze.
Un’opera donata al muro dell’Associazione “Alda Merini” e che segna l’inizio di una nuova fase: il trasferimento della nuova sede dell’Associazione Antistigma Alda Merini proprio in Largo Manfredi e dove, fa sapere la socia Maria Antonietta Dicorato “nascerà in quello spazio un Atelier di pittura con arteterapia per bambini e giovani affetti dallo spettro autistico”. Largo Manfredi è uno degli angoli del Gravattone che come in un sogno diventato realtà è stato negli ultimi anni sottratto al degrado, riqualificato e riportato alla vita grazie alle Associazione Centro storico di Venosa.
“Soluzione onirica” racconta in maniera simbolica proprio il sogno che diventa reale. Evocando lo psiconalista Lacan, l’arte è il ponte tra la realtà e il sogno.
Rappresenta il racconto di un nuovo inizio; i muri dell’ignoranza, dello stigma e del pregiudizio devono essere abbattuti, ma rimangono orgogliosamente eretti i muri che parlano e che attraverso l’arte raccontano nuove storie, nuove visioni, nuovi sogni: nuove contaminazioni artistiche.
Il sogno, ad esempio, di uscire al più presto da un incubo chiamato “Covid”. E di uscirne più robusti, psicologicamente più forti. E che le ferite impresse non diventino, appunto, muri invalicabili. Muri di incomunicabilità.
Marianna Gianna Ferrenti