Nell’ambito della programmazione Venusia Estate 2017 si svolge nella città oraziana la prima rassegna cinematografica  dal titolo “Sognando il Sud. Grazie all’Associazione Antistigma “Alda Merini”, il chiostro di San Domenico si trasforma in un forum cinematografico. Gli intrecci di storie individuali e di narrazioni vicine alla quotidianità diventano occasioni di dibattito. Un’esperienza fortemente voluta dai ragazzi del liceo Q. Orazio Flacco di Venosa, oltre che dai membri dell’associazione. Un modo per riflettere sull’attualità, con uno sguardo attento e critico sulle questioni sociali e sui cambiamenti generazionali che attraversano un’epoca difficile. Da questa parabola discendente si può risalire la china attraverso gli strumenti che proprio la cultura mette a disposizione.

L’evolversi e l’involversi di una società attanagliata da una precarietà che non è soltanto occupazionale ma si allarga alla crisi culturale e valoriale del nostro paese e alla sua inesorabile decadenza. Eppure l’incertezza e la provvisorietà può essere anche considerata sotto un altro punto di vista, non solo ed unicamente legato al peggioramento della condizione umana, ma il cinema come opportunità di riscatto, non del singolo ma della collettività. Con i suoi messaggi può infondere fiducia e trasmettere l’idea che può esistere una speranza che illumina le nostre vite e che può essere conchiusa in tre chiavi di volta dell’esistenza umana: conoscenza, coscienza e responsabilità nell’agire quotidiano.

Di qui film come Io “Speriamo che me la Cavo” (già proiettato lo scorso 19 luglio), per la regia di Lina Wertmuller, con dibattito a cura di Nicola Perrotta e Mauro Maino;  “Il Sole anche di Notte, per la regia dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, che sarà proiettato nel Chiostro di San Domenico il prossimo 26 luglio. Il dibattito sarà poi moderato da Padre Cesare Locatelli e Luigi De Bonis. Nei prossimi giorni poi si svolgeranno altre proiezioni: “La Terra“per la regia di Sergio Rubini con dibattito a cura di Paola Gammone ed Elvira Profita (2 agosto), “Kaos”, anch’esso diretto dai fratelli Taviani, con successiva agorà a cura di Antonella Dicorato e Concetta Giorgio (9 agosto); “Terraferma”, diretto da Emanuele Crialese, un film realizzato con la collaborazione di Rai Cinema. Anche in questo caso ci sarà un dibattito successivo alla proiezione del film Antonio Ruggiero e Luca Mennon (23 agosto); un film sulla difficile e drammatica condizione di chi lavora via terra e via mare; ed infine “I Basilischi”, per la regia di Lina Wertmuller, un film-denuncia sulle origini e la genesi della criminalità più antica della Basilicata, con dibattito curato da Michele Finizio ed Ezio Lavorano (30 agosto).

Il Cineforum è uno dei più efficaci perché grazie alla sua immediatezza, dettata dalla forza della parola e soprattutto delle immagini, esercita sull’opinione pubblica un impatto notevole che altri “medium” non hanno.  Come funzionano oggi le istituzioni come quella scolastica? Com’è cambiato il rapporto tra i giovani studenti e i loro insegnanti? Qual è il compito del docente oggi? Sono alcune degli interrogativi su cui si è incentrato il dibattito dopo la proiezione del film “Io Speriamo che me la cavo”. Protagonista uno straordinario Paolo Villaggio, la cui interpretazione intensa e nostalgica di un professore precario venuto dal nord per insegnare in un sobborgo del “napoletano” ha segnato la svolta nella carriera dell’attore-scrittore. Grazie alla magistrale regia di Lina Wertmuller, è riuscito a mostrare un altro volto di sé, quello peraltro autentico di uomo sensibile e colto; eppure umile e vicino al linguaggio comune delle “borgate”.

Il dibattito che ha anticipato la proiezione del film e quello postumo, coordinato da una meravigliosa introduzione di Carmela Sinisi, complice la testimonianza di alcuni docenti come Nicola Perrotta, Mauro Maino e , ha contribuito a far emergere il quadro di un Mezzogiorno che, pur bistrattato, può risorgere dalle ceneri della emarginazione sociale, trovando in sé la forza di uscire dal martirio vittimista per far fruttare le enormi potenzialità nascoste.

“Ogni giovedì le tematiche saranno varie, dalle problematiche esistenziali che colpiscono qualsiasi tipo di società e di umanità, fino al tema della legalità. L’obiettivo è creare luoghi di dialogo, in cui la sapienza non è il semplice nozionismo. L’intento è di coinvolgere i giovani nei processi di apprendimento e di condivisione. La scuola ad esempio è una palestra di vita, il luogo della sapienza che educa e forma il buon cittadino” commenta la coordinatrice dell’associazione Antistigma, Maria Antonietta Dicorato.

paolo villaggio,io speriamo che me la cavo

Il film “Io Speriamo che me la cavo” mostra esattamente quale dovrebbe essere il compito dell’insegnante che è principalmente quello di educare i ragazzi a diventare uomini e cittadini migliori, e non soltanto quello di impartire nozioni e competenze. Una missione pedagogica che probabilmente le istituzioni, puntando tutto sulla burocrazia e su leggi miranti a rendere la scuola efficiente solo come apparato, stanno perdendo di vista. Oggi la scuola è affidata molto spesso alla buona volontà e all’impegno dei singoli insegnanti che svolgono la professione con una vocazione quasi “montessoriana”, ispirandosi anche agli ideali di Don Bosco.

Per Nicola Perrotta, docente di scuola media, l’esperienza di insegnante è stata la più bella della sua vita, un continuo dare e ricevere. Uno scambio alla pari tra docente e studente, il cui rapporto basato sull’entusiasmo e sulla fiducia è reciproco e va alimentato ogni giorno con nuovi stimoli. “Ho cercato sempre di giocare a carte scoperte, mi sono sforzato ogni giorno di comprendere i loro problemi, cercando di risolverli. I ragazzi sono soggetti attivi, hanno diritti e doveri” spiega Perrotta. Per ottenere rispetto occorre rispettarli e trattarli come esseri pensanti, le cui opinioni e i cui stati d’animo vanno canalizzati nella direzione giusta e mai soppressi. Bisogna insegnare loro cosa significa essere responsabili delle loro azioni per diventare persone mature, dotate di senso civico.

“Una pedagogia del dialogo e dell’ascolto, un metodo preventivo e non affatto repressivo. L’educatore ha un compito specifico: far crescere i cittadini del domani” aggiunge Nicola Perrotta. Tutto questo, da un lato, semina speranza; il lume della ragione che prima o poi, il mondo possa cambiare, grazie all’esperienza di ognuno che diventa condivisa.  abbandonando finalmente le leggi di un individualismo imperante, dall’altro apre degli interrogativi pesanti come macigni: ossia se davvero la formazione dei nostri figli può essere relegata alla fortuna di incontrare sulla propria strada l’insegnante giusto al momento opportuno.

Mauro Maino, maestro nelle scuole primarie, ha raccontato di come la scuola sia cambiata nei suoi 44 anni di esperienza e di come oggi più che mai “debba insegnare a ragionare con la propria testa e a credere in se stessi”, anche quando si vive in contesti difficili. “La cultura molto spesso la si confonde con il nozionismo, ma invece è la capacità di adattarsi all’ambiente in cui si vive e di modificarlo al meglio” commenta il docente. E poi, ci sono “i valori della legalità, della solidarietà, il sapersi comportare con i più deboli, la tendenza a non far prevalere l’individualismo, la capacità di dire no alla competizione sfrenata, il sapere crescere insieme e il saper educare i ragazzi a ossequiare le leggi, le norme e i principi della Costituzione”: imparare a rispettare gli altri, aiuta a diventare donne e uomini più consapevoli dei propri limiti e delle proprie potenzialità, fondamentali per costruire una identità comunitaria. Molto toccanti anche le esperienze raccontate da Carmela Sinisi e Gianna Dicorato.

La prima, madre di due figli con due percorsi di vita completamente diversi, ha testimoniato quanto sia importante il dialogo e la fiducia non solo tra docenti e studenti, ma anche tra insegnanti e genitori, aspetto, quest’ultimo, su cui si dovrebbe lavorare per garantire una migliore crescita umana e formativa dei ragazzi. La seconda, docente pluridecennale in istituti professionali, ha dovuto operare anche con studenti provenienti da contesti sociali e familiari difficili. La loro testimonianza è importante per far capire che non è importante  tanto la provenienza quanto la direzione in cui si intende svoltare per cambiare il verso della propria vita.

Marianna Gianna Ferrenti

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Marianna Gianna Ferrenti
Sono una giornalista pubblicista lucana. Dopo alcune esperienze sul territorio, ho allargato gli orizzonti, affacciandomi nel 2012 al mondo del social journalism. Laureata magistrale in Scienze filosofiche e della comunicazione, dopo un corso di Alta Formazione in Graphic Design ed Editoria digitale, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, ho arricchito il mio background con competenze tecniche nell'ambito della scrittura digitale

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