Questo week end tra pioggia e una bella giornata di sole, tra mercatini, vie affollate di buona gente e piccioni ho conosciuto Nepomuceno Bolognini, con il quale tra un più ed un meno è venuta fuori qualcosa simile ad un sistema algebrico che amerete.

“Suono per vivere e lavoro per sopravvivere”, perché le passioni ed il loro compimento nella vita di un’artista, o di chiunque, vanno al di là del valore economico che normalmente viene attribuito ad un prodotto di mercato. Perché non è mai abbastanza per chi si impegna nel produrre qualcosa di concreto e di utile, il valore che viene attribuito al prodotto stesso, tanto da cadere nel turbine dell’insoddisfazione che come per un che di straordinario ciò che ci piace veramente ci rende felici e quindi liberi di esprimere tutto il nostro stato d’animo.

Amante del Brit style Nepomuceno Bolognini si differenzia da altri artisti per una sua particolarità quasi innata di interagire con altri stili e li interpreta con un fascino inimitabile.

Tra aneddoti e racconti vari, nell’intervista che si è dimostrata più una leggera chiacchierata, se non un vero e proprio scambio di opinioni, ha raccontato cosa lo ha portato ad amare la musica, e quasi fosse una “domanda prestampata” ha subito ricordato quando bambino era incuriosito dai dischi del papà che discorrevano da gusti e generi differenti, passando da Guccini a Dalla, da Battiato ai Beatles quanto ci sia stato lo spazio per tutto e crescendo non ha perso la particolarità di guardare con obiettività, coraggio ed eleganza il nuovo che avanza dalla musica, dal nuovo panorama musicale che sempre più come avviene in tutti i campi è un riproporre costantemente particolarità già note e semplicemente riadattate.

Questo ci insegna che tutti siamo il prodotto del nostro passato, ma ad esso non dobbiamo essere troppo legati, pena brutte ripercussioni.

Il suo ultimo disco è un prodotto km0. Registrato nello studio Hangar di Carbonia, in Sardegna, l’aspetto grafico è opera della compagna Carlotta, creativa del brand di borse e accessori “Carlottina Lab” già nota al pubblico di lettori di Newstyle Publications.

La musica non è solo la sua passione e il pretesto per sentirsi appagato, ma ha sempre più preso le sembianze di un credo, come se quello che più ci piace fare, sia una fede. Come quando in modo del tutto disinibito mi ha confidato che sopra la culla del suo bimbo al posto di una qualunque iconografia sacra ha posto l’immagine di Bob Dylan, un modo per non staccarsi e tramandare come in una sorta di passaggio del testimone il suo amore per l’arte; e lo dimostra quando in una piazza davanti allo sguardo stralunato dei passanti abbraccia la sua chitarra rosa, cimelio dei tempi in cui fu uno studente erasmus in Estonia, facendo esprimere quello strumento come fosse un mezzo di riappacificazione, e tutto cambia, per restate uguale a prima.

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Stefano Fiori
Stefano Fiori. Questo è il nome. Di solito non mi piace scrivere di me, la trovo pura esibizione di se stessi, ma è anche un modo per farmi conoscere ai lettori di ALPI FASHION MAGAZINE. Non mi reputo un ragazzo come tanti, e fin da piccolo ho coltivato l’idea che trascorrere del tempo con se stessi, con la propria individualità fosse un fatto affascinante, e da cui ne sto traendo qualche frutto. Scopri cose di te stesso, che probabilmente mai nessuno saprà mai. Impari che persino il silenzio ti entusiasma, ma non quanto il rumore, che insieme hanno la particolarità di avvolgere la sensibilità che ti sei creato nel tempo. I libri sono sempre stati il mio nutrimento, la mia più grande ispirazione. Mondi nel quale rifugiarsi e vivere quando non sopporti più l’idea di vivere in silenzi immensi. I libri sono colore, uno per ogni stato d’animo. Il sorriso la mia caratteristica. Non c’è una fotografia, un vecchio filmato nel quale io non sorrida. Sono sempre stato un bambino sereno, nel senso che la mia eleganza consisteva, fin da piccolo nel procedere a passi felpati, per paura di disturbare, persino a casa mia, quello che poi sarebbe diventato il più grande regno degli amori, più che di semplici affetti. Col tempo scrivere è diventato quel modo di colmare quei vuoti, nei quali dominava l’inconsistenza più assurda. Un modo per emozionarmi, e talvolta emozionare. Scrivere mi aiuta ad amplificare il dislivello tra l’essere e l’apparire. Ciò che mi definisce, almeno fino a questo punto è una sensibilità maturata col tempo, ed un amore per la bellezza, per l’arte, per i sorrisi. Mi piace pensare che queste tre cose siano collegate e possano in qualche modo rendere più autentiche in quanto più consapevoli le persone, che muovono il mondo e gli danno dinamicità e pregio, gli danno vita. www.newstilepublications.com

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