Matteo Orlandi

Intervista di: Gabriele Vinciguerra

La scrittura non è solo raccontare storie, è un atto di creazione, di immersione totale in mondi che esistono prima nella mente e poi sulla pagina.
Matteo Orlandi lo sa bene: il suo romanzo è un mix esplosivo di esperienze vissute, letture, cinema, sogni e ombre, dove il noir si tinge d’ironia senza perdere intensità.

Perché scrivere? Perché certe storie non possono restare chiuse dentro.
In questa intervista, sveliamo il percorso di un autore che trasforma il desiderio di evasione in letteratura e ci racconta cosa significa davvero far viaggiare un lettore.

L’inizio del viaggio nella scrittura

Hai parlato di un desiderio fortissimo di creare e raccontare storie. C’è stato un momento preciso in cui hai capito che non potevi farne a meno? Oppure è stato un processo graduale?

Diciamo che la passione per le storie c’è da sempre. È rimasta soffocata per qualche tempo e poi, una volta tornata ad ardere, non l’ho potuta frenare in nessun modo. E nemmeno ho provato a farlo. L’ho lasciata fluire e non c’è stata scelta migliore.

Sei un amante del cinema e della letteratura. Qual è stata la storia – letta o vista – che ti ha fatto dire: “Voglio raccontarne una anch’io”?

Trovarne una è difficile. Tra cinema e letteratura ci sono centinaia di migliaia di sfumature in grado di sfiorare le corde più sottili di ogni emozione. Le sinfonie che si creano sono le più disparate e convergono tutte verso il desiderio di poter passare da fruitore a distributore di quelle sensazioni così intime e profonde.

Scrivere per te è un modo per astrarti dalla realtà o per entrare ancora più a fondo in essa?

La linea è senza dubbio molto sottile. L’astrazione che si innesta durante il processo creativo è qualcosa di inesplicabile; viverlo è il modo migliore per capirne la portata. Durante questo turbine, l’opportunità di approfondire la realtà diventa enorme. Si entra in una fase talmente introspettiva ed emotiva che scavare in ricordi, notizie, parole e frammenti di vita è praticamente spontaneo.

Il romanzo e il suo DNA

Hai detto che questo libro nasce da tutto ciò che hai vissuto, letto e ascoltato. C’è un’esperienza o un dettaglio della tua vita che, senza quel vissuto, non sarebbe mai entrato nella storia?

Quando nasci e cresci in un paese di provincia vivi, da ragazzino, situazioni che etichetti come quotidiane: il bar scrauso col pozzetto dei ghiaccioli dimenticati, il market che ti fa il panino col prosciutto grigio oppure grigliare a ferragosto in una fornace abbandonata col salotto fatto dai mobili della discarica. Quando cresci, e quelle esperienze lo fanno con te, ti rendi conto di quanto potere narrativo abbiano, se raccontate nel modo giusto. Quella che comunemente appelliamo come “banalità” ha in sé una forza enorme e cioè quella di far dire “ah, l’ho vissuto pure io!” e lì si crea uno dei patti narratore\lettore più saldi possibili, a mio parere.

Il noir incontra l’ironia nel tuo romanzo. Come si combinano questi due elementi senza che uno rovini l’altro?

È un binomio che nella stand-up comedy è già rodato, nonostante sia un contesto diverso e verso il quale, chi ne apprezza la tipologia, non ha pregiudizi in merito. Nel senso più stretto della letteratura ad aprirmi la mente è stato scoprire Lansdale. Trovo che sia un autore dal quale prendere costante ispirazione; leggere i suoi romanzi mi ha insegnato come i due elementi possano convivere in perfetta armonia fino all’avere l’uno bisogno dell’altro.

Il noir spesso svela il lato nascosto dell’animo umano. C’è un aspetto della psicologia dei tuoi personaggi che hai esplorato con particolare attenzione?

In realtà c’è una domanda che caratterizza un po’ la psicologia di tutti i personaggi: “Cosa farebbe tizio in quella situazione?” e da lì evolvono e si sviscerano i differenti tratti dei protagonisti e antagonisti. È il mio modo di sviluppare e affinare alcune sfumature a stesura in corso, come se i personaggi stessi evolvessero e cambiassero mentre vivono le loro avventure o disavventure. È il loro lato umano.

Cinema, letteratura e il potere dell’immaginazione

Scrivi in modo più visivo o più concettuale? Ti capita di immaginare le scene come fossero un film?

Diciamo che mi capita molto raramente di non farlo. Per me cinema e letteratura camminano davvero a braccetto e ogni volta in cui mi immergo nella stesura di un racconto o una scena è come se fossi dietro la macchina da presa; i protagonisti diventano attori e i personaggi le comparse e c’è una colonna sonora che accompagna il tutto. Può sembrare un viaggio lisergico, ma è una forza così concreta che è una delle cose più emozionanti in assoluto.

Se il tuo romanzo fosse una pellicola, chi vorresti alla regia? E chi vedresti nel ruolo principale?

Rimanendo nel territorio nostrano, nel quale il romanzo si svolge, direi che alla regia vorrei Sydney Sibilia, per la sua capacità di narrare storie di qualunque tipo per immagini efficaci, forti e indubbiamente ironiche. Per quanto riguarda il ruolo principale non è stato così facile trovare una risposta, ma ho provato una certa empatia col film Troppo Azzurro, di Filippo Barbagallo e nel ruolo del protagonista lo vedrei benone.

Ci sono scrittori o registi che, nel profondo, hanno plasmato il tuo modo di raccontare storie?

Ci sono tantissime influenze che nascono da una scintilla di amore e stima per poi diventare vere e proprie ispirazioni. Prendere quel che piace di altri artisti e renderlo proprio è anche questo un processo molto stimolante. Processo che parte da registi come Tarantino, Woody Allen, Virzì, Genovese, Paul Thomas Anderson, Wes Anderson e che passa anche da singoli film che entrano nel cuore per non uscirci mai come, tra i moltissimi, “Non essere cattivo” e “Santa Maradona”. La stessa cosa avviene con scrittori e romanzi. Indubbiamente Lansdale rimane la punta della piramide, ma lì c’è spazio per moltissimi altri come Ammaniti, Palahniuk, Leonard, Robecchi o Pinketts, Lemaitre. Un romanzo del cuore?Uomini e topi”.

Il rapporto con il lettore

Quando scrivi, pensi a chi leggerà oppure è un processo più istintivo, che parte solo da te?

L’istinto ha il suo peso, senza dubbio. Scrivere qualcosa che si sente dentro credo che renda più efficace anche trasmettere emozioni vive a chi poi leggerà. L’obiettivo è quello di affinare sempre più la tecniche narrative per rendere divertente, riflessivo ed emozionante anche l’istinto.

Qual è l’emozione o la riflessione che speri resti più impressa a chi legge il tuo romanzo?

Ci sono tanti temi che ho a cuore e che spero possano stimolare i lettori. Diciamo che, da trentenne, mi piacerebbe portare a riflettere su quanto la pressione che spesso ci addossiamo noi stessi sia in grado di schiacciarci più di quanto non faccia il mondo esterno. Riguardo alle emozioni, invece, credo che il modo in cui noi ci poniamo di fronte ai problemi sia il primo passo e quindi tratto i miei temi con ironia che, anche se non risolve le cose, le fa affrontare in maniera diversa.

Se dovessi lasciare il lettore con una sola domanda in testa alla fine del libro, quale sarebbe?

E adesso cosa leggo?

Qual è la tua reazione?

emozionato
1
Felice
2
Amore
2
Non saprei
0
Divertente
0
Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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