Felicia Feller

Articolo di: Gabriele Vinciguerra
Foto di: Gabriele Vinciguerra

Scarpette da calcio? Le avrebbe infilate senza pensarci troppo, anche se l’occasione non sembrava la più adatta. Perché Felicia Faller, 19 anni, vive di contrasti che si ricompongono in armonia. Gioca nella Primavera della Roma, figlia del giornalista Renato Faller e della coreografa e maestra di danza classica Margherita Roda. Avrebbe potuto scegliere le punte da ballerina, eppure ha deciso di rincorrere un pallone. Non per capriccio, ma per necessità: il calcio, dice, le ha salvato la vita.

Dal Milan al Monza fino alla Roma, Felicia porta con sé un talento che non ha bisogno di urlare. E mentre corre sull’erba, studia recitazione all’Accademia di Cinematografia, preparando un altro palcoscenico. Già nel 2019 lo aveva assaggiato, quando il management Ringo la sceglie per lo spot diretto da Gabriele Muccino e per la serie digitale #storiedellospogliatoio. Due scene, due modi diversi di abitare lo stesso corpo.

Oggi, però, Felicia attraversa un altro campo. Non quello con le linee bianche e il rumore del pubblico, ma quello della moda. Un viaggio negli anni Sessanta, pur avendo appena diciannove anni, con addosso nomi che parlano da soli: Versace, Valentino, Prada, Just Cavalli, TIM. Eppure ciò che conquista non è il lusso, ma la sua semplicità. L’altra faccia della ragazza della porta accanto, che non si lascia imprigionare negli stereotipi. Un volto capace di sprigionare un’editorialità rarefatta, fatta di eleganza non convenzionale.

Due mondi che sembrano distanti, il calcio e la moda, ma che in lei trovano un punto d’incontro. Perché Felicia li interpreta entrambi senza forzature, con la naturalezza di chi sa che la vera forza è abitare la propria unicità.

Crediti:
Photgrapher: Gabriele Vinciguerra
Stylist: Marta Jane Alesiani
Model: Felicia Faller
Hair Stylist: Alessandro Torti Make up
Artist: Stefania Molòn Photo assistant: Andrea Cogotti

Look 1 giallo
Cappotto: Marta Jane Alesiani
Abito: Ligiren

Borsa: vintage 60’s Elegance Paris
Cintura: Ki 6? Who are you
Scarpe: Patrizia Pepe

Look 2 cappotto red
Cappotto: Valentino Vintage
Cappello: archivio privato vintage 60’s Marta Jane Alesiani
Spilla: vintage 60’s original
Abito: archivio vintage 50’s Marta Jane Alesiani
Orecchini: archivio vintage 60’s Stefania Molòn

Look 3
Gonna: Marta Marzotto
Camicia: Zara
Foulard: Marta Jane Alesiani
Cintura: 70’s Vintage
Scarpe: Pin Up Couture

Look 4

Cappotto: Weill Paris
Bag: Versace
Guanti: 60’s vintage original
Calze: Calzedonia
Scarpe: Patrizia Pepe

Look 5

Cappotto: Marta Jane Alesiani
Abito: Versace
Orecchini: 70’s original vintage
Basco: Marta Jane Alesiani
Scarpe: Karl Lagerfeld + Melissa

Look 6

Mantella broccata seta: Marta Jane Alesiani
Gonna broccata seta: Marta Jane Alesiani
Bracciali: 70’s original vintage
Calze: Calzedonia
Scarpe gold: Little Mistress

Look 7

Camicia: 60’s original Vintage
Gonna: Marta Jane Alesiani
Bracciale: Versace
Scarpe: Killah

Look 8

Abito: Marta Jane Alesiani

Look 9

Abito: Prada
Guanti: Ki 6? Who are you
Cintura: Ki 6? Who are you
Bracciali: Versace Vintage

Look 10

Abito: Ki 6? Who are you
Scarpe: Cinti
Collana: 70’s original Vintage

Look 11

Completo: OVS
Cappello: Marta Jane Alesiani
Scarpe: Laboutin Paris

Look 12

Abito: 50’s original Vintage
Cappello: Dior Vintage

Look 13

Abito red : Just Cavalli
Scarpe : Irregular Choice

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Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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