Articolo di: Gabriele Vinciguerra
In un’epoca in cui il digitale è diventato lo specchio deformante dell’identità, c’è chi non teme il riflesso. Non lo filtra. Non lo migliora. Non lo raddrizza. Lo mostra, così com’è: un po’ stropicciato, a tratti eccessivo, a volte impietoso, ma dannatamente autentico. È questo il cuore pulsante della Vip Room Riccione. Non un semplice showroom, ma un teatro in cui Monica e Matteo, Monikina e Monsieur Sorbellini, si mettono in scena senza interpretare nessuno se non sé stessi. Senza sovrastrutture. Senza copione.
E forse proprio per questo funzionano!
In un panorama digitale in cui tutto è story, posa, algoritmo, loro scelgono la presenza. Quella reale. Quella scomoda. Quella che si prende la responsabilità di essere fino in fondo.
La coppia che racconta senza raccontarsela
Monikina non è una maschera. Non è la “moglie di”. Non è l’accessorio narrativo del protagonista maschile. È presenza silenziosa che scava. È sguardo che filtra il mondo con due sole parole e mezzo broncio. È quella che c’è, quando tutti cercano di sembrare. Madre, compagna, donna con un passato che non viene mai esibito ma si avverte tutto, in quello che tace più che in quello che dice.
E poi c’è lui, Matteo. Che non recita la parte del creativo illuminato: lo è. Ma con la leggerezza di chi si è già visto nudo di fronte ai propri limiti e ha deciso di riderci su. Visionario, teatrale, devoto. Con un’energia che non ha bisogno di scenografia, e una spiritualità che si fa stoffa, logo, brand. Matteo non si limita a vendere abiti: vende un’idea di sé che non è finta. È amplificata, sì. Ma reale. Come un urlo in una stanza vuota.
Una boutique diventata altare
Il loro showroom è più confessionale che passerella. Più rifugio che negozio. Non si entra solo per acquistare: si entra per vedere, ascoltare, a volte per essere ascoltati. Il lusso qui non è ostentazione: è cura. È attenzione al dettaglio emotivo. È abito che racconta più che vestire.
Non stupisce che la loro community sia affezionata come un gruppo di fedeli. Non follower. Non clienti. Ma testimoni di una narrazione che non vende solo stile, ma identità.
Lo stile che parla senza urlare
Il loro modo di vestire è eccessivo solo per chi non ha mai sentito sulla pelle il bisogno di esprimersi. Non è fashion da copertina: è armatura e confessione. Capi oversize che non nascondono ma esaltano. Accessori che non completano ma raccontano. Colori che gridano quello che molti non osano pensare.
Chi li giudica pacchiani, probabilmente ha ancora paura della propria voce interiore.
Psicologia di due identità libere
In un contesto in cui i social media fungono da palcoscenico esistenziale, dove ogni post è un colpo di cipria sull’anima, dove il mi piace è diventato una moneta di validazione affettiva, Monica e Matteo si muovono controcorrente. Non mascherano le rughe. Non cancellano il passato. Non temono di mostrare anche l’eccesso, la debolezza, l’emozione.
Dal punto di vista psico-sociale, sono un’anomalia. Incarnano un’identità egosintonica, coerente con il proprio vissuto e perfettamente accettata. Niente dissonanze. Niente compromessi. Si sono scelti come sono, e così si mostrano.
Ecco perché disturbano. Ecco perché funzionano!!!
In un ecosistema digitale basato sul controllo dell’immagine, loro sono vulnerabilità performativa. Non performance vuota.
Il vero brand è la loro umanità
Si può costruire un marchio sull’autenticità? Sì, ma solo se l’autenticità non è un filtro vintage su un selfie, ma una scelta radicale di presenza. Monica e Matteo non fingono inclusività, non gridano consapevolezza, non sbandierano body positivity da brochure. La vivono. Nel modo imperfetto, contraddittorio, bellissimo che solo chi ha sofferto e riso davvero può permettersi.
Vip Room Riccione non è un luogo. È una dichiarazione d’intenti.
E mentre il mondo scrolla, loro restano
In una società che passa con un dito da una vita all’altra, Monica e Matteo restano. Immobili come un faro. Eccentrici come un sogno notturno. Veri come una lacrima che scappa fuori scena.
Non hanno bisogno di apparire diversi da ciò che sono. Ed è per questo che chi li incontra, fisicamente o virtualmente, non li dimentica più.
Non si spiega. Si sente.
E se non ti spiazzano, forse sei troppo occupato a sistemare i filtri.