Articolo di: Gabriele Vinciguerra

Hikikomori e ansia sociale in Italia. Oltre lo stereotipo, dentro i fatti

Non è una moda giapponese trapiantata da noi. È una forma di ritiro sociale che in Italia esiste, cresce, e ha un profilo preciso. Hikikomori significa chiudersi in casa, ridurre al minimo i contatti faccia a faccia, spesso interrompere scuola o lavoro. Non è sinonimo di ansia sociale, ma i due fenomeni possono sovrapporsi. Per capire cosa sta accadendo serve uscire dai luoghi comuni e guardare ai dati, all’età di esordio, e all’effetto amplificatore dell’ecosistema digitale.

Quanti sono in Italia

Le rilevazioni più solide oggi disponibili raccontano questo quadro. Nella popolazione scolastica tra 11 e 17 anni, l’Istituto Superiore di Sanità ha stimato circa 66 mila studenti con caratteristiche di ritiro sociale. La tendenza è leggermente più alta nelle scuole medie, quindi tra 11 e 13 anni.

Un’indagine del Consiglio Nazionale delle Ricerche sulla fascia 15 a 19 anni ha proiettato circa il 2 percento degli studenti in condizione di ritiro per almeno sei mesi nel corso della vita. Le stime corrispondono a decine di migliaia di ragazzi. Parliamo di dati raccolti su campioni nazionali e pubblicati con metodo.

La lettura integrata delle due fonti indica un fenomeno consistente nella sola popolazione scolastica. Non è l’intero universo degli hikikomori, che include anche chi ha smesso di frequentare. È quindi prudente considerare le cifre ufficiali come una base minima.

Hikikomori e ansia sociale. Che cosa li distingue

L’hikikomori descrive un comportamento di ritiro prolungato. L’ansia sociale è un disturbo codificato che riguarda la paura intensa del giudizio in situazioni sociali e richiede la persistenza dei sintomi per almeno sei mesi secondo i criteri DSM. Spesso l’ansia sociale esordisce in adolescenza con età mediana intorno ai 13 anni nelle stime internazionali. Nel corso di un anno colpisce in media alcune persone su cento. Differenti etichette, spesso la stessa sofferenza che si manifesta precocemente.

Le fasce d’età più esposte

La fotografia italiana segnala una soglia critica già tra gli 11 e i 13 anni, con conferme tra 15 e 19 anni. Questo coincide con ciò che sappiamo sul disturbo d’ansia sociale, che tende ad apparire nella prima adolescenza e prosegue in assenza di interventi mirati. È la finestra in cui identità, corpo, appartenenze e competenze sociali si costruiscono e si incrinano.

Il ruolo dei media e dei social. Amplificatore, non unica causa

Dopo la pandemia le richieste di aiuto per disagio mentale sono aumentate e gli adolescenti italiani hanno mostrato un peggioramento dell’indice di salute mentale. In parallelo, nell’area europea, l’uso problematico dei social è cresciuto e riguarda una quota maggiore di ragazzi rispetto a pochi anni fa. In questo contesto i fattori legati all’ecosistema digitale sono importanti, ma interagiscono con qualità delle relazioni, fiducia, bullismo e corpo. Uno studio italiano recente ha individuato tra i fattori associati al ritiro: iperconnessione sui social, scarsa qualità delle relazioni offline, bassa fiducia relazionale, vittimizzazione da bullismo e cyberbullismo, bassa partecipazione allo sport, insoddisfazione per il proprio corpo. La tecnologia da sola non spiega tutto, può però potenziare isolamento e vergogna oppure offrire ponti di contatto se usata con consapevolezza.

Un’ulteriore avvertenza utile per famiglie e scuole. Tagliare internet a un ragazzo già ritirato senza un intervento psicosociale di accompagnamento può peggiorare la situazione. Le tecnologie svolgono spesso una funzione di ancora residua di relazione e interesse. Serve educazione digitale, non proibizione cieca.

Perché succede proprio adesso

La pandemia ha aumentato ansia, solitudine e sentimenti di impotenza in età evolutiva. La didattica a distanza ha ridotto la pratica sociale dal vivo nei mesi cruciali in cui si imparano sguardi, sfumature, conflitti sani. Questo shock ha lasciato strascichi che in alcuni ragazzi hanno consolidato evitamento e ritiro. L’effetto non è uniforme, ma chi era già vulnerabile ha pagato il conto più alto.

Che cosa funziona sul campo

Le evidenze italiane e internazionali convergono su alcuni snodi pragmatici. Riconoscimento precoce a scuola e in famiglia. Percorsi di sostegno psicologico basati su obiettivi graduali e realistici. Spazi di socialità protetta che non umiliano, come laboratori e sport non agonistico con allenatori formati al tema. Educazione ai media per ridurre vergogna, confronto tossico e tempo passivo, promuovendo invece partecipazioni attive e supervisionate. Non è un cambio di vita in un giorno. È un rientro lento nel mondo, con alleanze chiare.

Domande che aiutano a non perdere nessuno

Come sta davvero quel ragazzo che non esce più, al di là dei voti. Quali relazioni buone ha ancora e come proteggerle. Quanto tempo passa in attività passive rispetto a quelle che lo fanno sentire competente. Che adulti ha attorno che sanno restare nel suo tempo, senza forzare. Il rientro non è una prova di forza, è una prova di fiducia.

Infine…

Hikikomori e ansia sociale in Italia non sono emergenze eteree. Hanno numeri verificabili, età a rischio definite, e una relazione complessa con media e social. La soluzione non è il panico morale né la negazione. È investire su diagnosi precoce, alfabetizzazione emotiva e digitale, reti educative che non lasciano indietro gli invisibili. Perché la vera uscita non è solo dalla stanza. È dal giudizio che blocca, verso una presenza che ricuce.

Fonti

  • Istituto Superiore di Sanità (ISS) – Stima di circa 66.000 studenti tra 11 e 17 anni con caratteristiche di ritiro sociale, con incidenza maggiore tra 11 e 13 anni.

  • Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Nella fascia 15-19 anni circa 44.000 ragazzi (1,7 %) vivono in ritiro sociale e 67.000 (2,6 %) risultano a grave rischio.

  • Wired Italia / CNR – Oltre 50.000 adolescenti ritirati: 1,7 % già isolati, 2,6 % in condizione di rischio.

  • Sky TG24 – Conferma dei 66.000 casi stimati tra studenti italiani, con circa 54.000 solo nella fascia 15-19 anni.

  • Vanity Fair / CNR-Irpps – Dopo la pandemia gli adolescenti senza contatti extrascolastici sono passati dal 5,6 % al 9,7 %.

  • Respiro.news – La categoria più grave dei “lupi solitari” è raddoppiata: da poco più del 5 % nel 2019 a quasi il 10 % nel 2022.

 

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Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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