Letitia Casta

Articolo di: Gabriele Vinciguerra

Laetitia Casta. Non il volto. Il fuoco.

Me la immagino bambina, Laetitia. Non davanti a uno specchio a pettinarsi i capelli, ma nei boschi di Normandia, con la terra sotto le unghie e i capelli spettinati dal vento. Aveva un’oca, si chiamava Gédéon, dormiva con lei, le lisciava i capelli con il becco. Una creatura selvatica che la seguiva ovunque. Poi, un giorno, l’oca la morde. Non la riconosce più: era cresciuta. È tutto lì, in quella piccola tragedia da fiaba, un pezzo di Laetitia Casta. L’istinto di appartenere solo a sé stessa, e nessun altro.

La modella che non voleva esserlo per sempre

La storia ufficiale dice che fu scoperta a 15 anni su una spiaggia della Corsica. Laetitia stava semplicemente prendendo il sole. Nessuna ambizione. Nessun piano. Solo il cielo addosso. Ma la bellezza, quando è così dirompente, non puoi tenerla ferma. Da lì, copertine, passerelle, campagne. Yves Saint Laurent, Chanel, L’Oréal. Ma mai plastica. Mai costruita. Aveva quella cosa strana: sembrava non cercare il consenso.
E infatti, a un certo punto, ha girato le spalle a quel mondo. Non per rifiuto, ma per fame d’altro. «La moda è stata un passaggio. Non un’identità», ha detto una volta. Chi lo dice, di solito, ha già capito tutto.

Il cinema, una strada più buia (e più vera)

Quando ha iniziato a recitare, nessuno le credeva. Troppo bella per essere brava. Troppo famosa per meritarsi un ruolo serio. Ma lei è testarda, e sensibile. Ha studiato. Ha fallito. Ha fatto provini. E poi Gainsbourg  vie héroïque. Il ruolo di Brigitte Bardot: incandescente, fragile, vera. Da lì, è stato chiaro: Laetitia non recita per farsi vedere. Recita per raccontare qualcosa che la riguarda da vicino.
Un regista, dopo aver lavorato con lei, disse: «Ha la pelle sottile. Ogni parola, ogni gesto, le attraversa il corpo. È quasi scomodo guardarla recitare». È un complimento raro. Ed è tutto vero.

Madre di figli, madre di idee

Ha avuto quattro figli, da tre uomini diversi. E lo dice senza nessun bisogno di spiegarsi. Non vuole essere la madre perfetta. Né quella accomodante. «Non ho il diritto di avere potere su di loro. Non sono oggetti. Sono esseri liberi», ha detto.
Questa frase mi è rimasta addosso. Soprattutto perché detta da una donna che, per anni, è stata desiderata da tutti. E che ora protegge ciò che conta davvero: il diritto di essere imperfetti, autentici, vivi.

Quando l’impegno è carne, non posa

Nel 2016 ha scelto di diventare ambasciatrice UNICEF. Ma non ha prestato solo il volto. È andata in Ciad, ha toccato con mano la fame, la guerra, i bambini che non sorridono più. «Non voglio salvare il mondo. Voglio solo fare qualcosa, poco, ma sincero».
È questo il suo modo di esserci: silenzioso, reale, non per le foto.

E oggi? Oggi è una donna senza definizione

Ha diretto un cortometraggio, En Moi. Ha recitato in Una storia nera. Ma se le chiedi chi è oggi, ti risponde che sta ancora cercando. E che questo, in fondo, è il punto. «All’inizio volevo dimostrare che ero un’attrice. Ora, non devo dimostrare più niente. Faccio. E basta».

Alla fine? Nessuna. Per fortuna.

Laetitia Casta non è una ex modella. Non è solo un’attrice. Non è un’icona. È una donna che attraversa la vita come chi sa di non avere risposte ma non smette di farsi domande. E che ogni volta che la incontri  in un’intervista, in un film, in una foto  ti ricorda che la libertà è una cosa serissima. E bellissima.

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Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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