Jaden Smith

Editoriale di: Gabriele Vinciguerra

Christian Louboutin ha scelto di affidare a Jaden Smith la direzione artistica della sua linea uomo. Una notizia che divide e, inevitabilmente, obbliga a farsi una domanda scomoda: stiamo assistendo alla nascita di una nuova estetica maschile o all’ennesima operazione di marketing travestita da rivoluzione creativa?

Jaden Smith

La mossa è strategica. Il menswear rappresenta quasi un quarto del fatturato Louboutin, ma resta un segmento che non ha mai brillato quanto il femminile. Serviva una scossa, qualcuno che incarnasse il linguaggio fluido e trasgressivo che oggi è moneta corrente nelle passerelle. Jaden, con la sua estetica ibrida, le gonne indossate senza paura, il dialogo costante con musica, attivismo e cultura visuale, è la personificazione di questa rottura.

Eppure, non basta dichiararsi outsider per cambiare le regole del gioco. Il rischio è che dietro la sua nomina ci sia più la necessità di “fare rumore” che quella di costruire davvero un’identità solida per la linea uomo. Perché una collezione non si regge solo sulla narrazione: servono studio, tecnica, rigore. La scarpa Louboutin non è un accessorio di superficie: è un equilibrio delicato tra artigianato e desiderio.

Jaden Smith

Lui, almeno a parole, sembra averlo capito. Ha già visitato fornitori italiani, toccato con mano pellami e processi produttivi. Promette quattro collezioni all’anno, piene di contaminazioni, di mondi da esplorare. La sua è una visione che parla di comunità, di esperienze, di un brand che non vuole limitarsi al prodotto. In questo c’è un valore: la moda, oggi, non vive più soltanto di oggetti, ma di mondi narrativi capaci di catturare generazioni intere.

La vera questione è se Jaden Smith saprà trasformare quella narrazione in sostanza. Perché dietro ogni scarpa ci deve essere una calzata impeccabile, un comfort che giustifichi il prezzo, una qualità che non tradisca l’eredità artigianale di Louboutin. Se questa parte mancherà, la sua direzione artistica rischierà di restare un’operazione estetica, bella da vedere ma vuota da indossare.

La moda ha sempre amato gli azzardi. A volte hanno prodotto geni come McQueen, altre volte hanno lasciato macerie e collezioni dimenticabili. Con Jaden la partita è appena cominciata: sarà lui a decidere se restare un volto prestato alla moda o diventare davvero un architetto di immaginari.

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Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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