Una magnifica ed esaustiva mostra di Domenico Piola, diffusa in tutta la Città, anche nei luoghi originari che accolsero le realizzazioni del Maestro e della sua bottega, è stata progettata e realizzata da Daniele Sanguineti a Palazzo Nicolosio Lomellino e da Piero Boccardo, Raffaella Besta, e Margherita Priarone per i Musei di Strada Nuova. Un pool di studiosi attenti e sensibili che hanno aperto un dialogo con il contemporaneo, grazie ai lavori di Paola Scoccimarro.
Piola è emblematico come artista della tradizione, e per la professionalità e per la managerialità che gli consentirono di coniugare la propria creatività con l’espletamento degli incarichi che gli venivano rivolti.
Per secoli, fino alla comparsa del mercato ai primi del Novecento gli artisti, uno per tutti Michelangelo, si adoperavano per realizare le opere che venivano loro commissionate, fossero pale d’altare, ritratti o architetture; dal micro al macro comunque sempre in grado di affrontare qualsiasi tematica in maniera personale. Le botteghe più importanti, quella del Verrocchio o del Ghirlandaio della Firenze che ha scritto la storia dell’arte o quella del Piola a Genova e non solo, di cui parleremo tra poco, erano in realtà delle aziende floride dove l’attività ferveva contestualmente alla pulsione creativa. L’artista genovese formatosi alla scuola del fratello Pellegro, collaborò con Valerio Castello, suo compagno e sodale, ne divenne il successore nel campo delle grandi imprese decorative a Genova. La forte intesa si consolidò per la passione che entrambi provarono per la pittura lombarda.
Furono tra i primi pittori della modernità, in grado di armonizzare i saperi dei grandissimi del passato con l’esigenza di superarne il messaggio. Tornando a Piola, lo troviamo Roma, quindicenne, ci dice Ezia Gavazza, per arricchire la propria formazione. A 23 anni, siamo nella metà del Seicento, fondò Casa Piola, in salita San Leonardo, la principale fucina artistica attiva in Città.
La sua bottega, meglio la sua impresa, e cito dal piacevole ed utile pieghevole distribuito ovunque in Città, “divenne luogo di eccellenza e collaborazione strettissima tra le arti e la decorazione”… ma anche l’architettura. La sua bottega lavorava alacremente quindi, pur mantendendo al tempo stesso una forte autonomia progettuale. Strategica anche la struttura di cui si era dotato, con Anton Domenico Parodi, suo genero con Gregorio Ferrari, i figli Paolo Gerolamo, Anton Maria, Giovanni Battista e Margherita che seguirono le orme paterne, e i quadraturisti e stuccatori bolognesi Enrico e Antonio Haffne . Fu in grado di soddisfare così le numerose richieste della colta aristocrazia genovese e non solo, e della Chiesa naturalmente, il più grande committente mai esistito.
Ernst H. Gombrich ci dice che gli artisti, dopo il tripudio creativo e qualitativo iniziato nel ‘400 che esplose poi con il Rinascimento, furono letteralmente travolti da un senso di impotenza, dato che la pittura aveva raggiunto “l’apice della perfezione”*. Come competere o essere innovativi, date le vette raggiunte da artisti sublimi come Donatello, Brunelleschi, Leonardo, Michelangelo, Tiziano o Raffaello?
“Assolutamente tutto in arte era stato raggiunto”.* Le nuove leve schiacciate da simili risultati iniziarono a operare “alla maniera di” da cui il termine manierismo. Dal momento che sul terreno del dialogo tra bellezza e armonia si era giunti appunto all’apice, si cercarono altri campi su cui confrontarsi per tentare, sulla scia di Leonardo che stigmatizzò come “sciagurato l’allievo che non supera il maestro”, di superare i maestri della generazione precedente. Così si diede impulso all’inventiva, o ai significati criptici, di qui l’attenzione a civiltà precedenti come quella egizia. Tanti i tentativi, la smania di trovare qualcosa di nuovo cresceva, e forse emblematico risulta l’operare di Benvenuto Cellini a cui interessava essere più un virtuoso che un maestro di bottega, così da diventare oggetto del contendere tra i potenti dell’epoca trasferendosi di corte in corte. In qualche modo anticipò la “scapigliatura” e incarnò un nuovo modo di esprimere la propria arte, elaborando la concezione che la visione interiore poteva prevalere ed essere espressa anche a discapito della bellezza classica. In precedenza già il Parmigianino con la “Madonna dal collo lungo”, o il Cellini appunto, o Giambologna che era in realtà francese, con il “Mercurio” che sfida le leggi della statica, piaccia o meno furono i primi artisti moderni. L’apoteosi di questa concezione nuova si ebbe con il Tintoretto che Vasari stigmatizzerà come poco accurato, non avendo l’apertura mentale necessaria per comprenderne il significato innovativo e infine con El Greco, impressionante a tutt’oggi per la sua attualità. La strada fu così in qualche modo individuata e verrà decisamente imboccata fino ad arrivare a toccare un nuovo apice con Borromini e Bernini tanto da essere quest’ultimo chiamato da Luigi XIV.
In quegli stessi anni Genova si rivelava particolarmente sensibile e attenta all’arte, grazie ad una aristocrazia mercantile che seguendo i dettami dei potenti di ogni epoca, individuò l’arte come strumento di visibilità e di identità. In questo fertile contesto si inserisce Domenico Piola. Illuminante e estremenente curata, la mostra diffusa per tutta la città, finalmente inquadra storicamente e criticamente l’operato di un artista rimasto in qualche modo defilato nonostante la sua produzione copiosa sia sopravvissuta in maniera miracolosa alle vicissitudini del tempo. Alcune opere ancora nei contesti originari permettono di ricostruirne a fondo la filosofia.
Il percorso inizia da Via Garibaldi, che sappiamo essere di per sè un capolavoro, in uno dei Palazzi, quello di Nicolosio Lomellino, frutto dell’emulazione che scattò tra le famiglie dell’epoca per esaltare ciascuna la propria grandezza: Doria, Spinola, De Ferrari, Brignole Sale o Balbi tra gli altri e di cui ancora oggi godiamo l’operato. Quindi il percorso tocca i Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco, Palazzo Rosso, e le opere ancora miracolosamente in situ, diffuse in tutta la città.
Grazie a questa mostra è la prima volta in assoluto che si ha la sensazione della capillare propensione all’arte della Città.
La mostra aperta il 13 ottobre chiuderà il 7 gennaio prossimo.
Tiziana Leopizzi
*Ernst H. Gombrich La Storia dell’arte narrata da ernst H. Gombrich”La Repubblica serie Leonardo.
http://www.palazzolomellino.org/index.php/notize/domenico-piola?jjj=1511694984237