Articolo di: Gabriele Vinciguerra
C’è chi crea per vestire.
E c’è chi, come Carol Christian Poell, lacera.
Non la pelle, ma l’idea che ci siamo fatti di essa.
Le giacche che propone sembrano nascite difficili, cuciture che gridano, tessuti che appartengono più al mondo della vita che a quello della moda. Sangue, ossa, ossidazioni: non l’estetica della bellezza, ma quella dell’inevitabile.
In realtà, Poell non veste, smonta. Non propone uno stile, piuttosto impone un dubbio. Infatti la domanda che lascia è sempre la stessa: chi sei, quando la materia ti costringe a sentirti fragile?
I capi diventano anatomie parallele. Sono gabbie toraciche che respirano a fatica, pelli scucite che osservano chi le indossa, scarpe cucite al contrario in cui il passo non è movimento, ma memoria di ciò che resta.
Ogni creazione si trasforma in una ferita che si apre e non si ricompone. Così l’abito smette di difendere, perché invece di proteggere espone. E proprio in questa esposizione il corpo appare più nudo che mai, persino quando è coperto.
Anche la materia non è mai neutra. Pelle trattata fino a sembrare carne consumata, tessuti ossidati come ferro abbandonato alla pioggia, superfici corrose dal tempo. Tutto porta i segni della fine, come se Poell volesse ricordarci che ogni corpo, per quanto adornato, resta destinato a decomporsi.
Non disegna semplici collezioni, bensì autopsie. In ogni taglio e in ogni torsione non c’è desiderio di compiacere, bensì la volontà di costringere chi guarda a confrontarsi con l’imperfezione, la mortalità e la verità.
Neppure le presentazioni seguono le regole della moda. Anzi, diventano performance crude, esperimenti radicali, esperienze che spesso suscitano silenzio e claustrofobia. Non spettacoli nel senso tradizionale, ma messinscene che rifiutano la passerella per aprire un altro linguaggio.
Per questo la sua moda non è davvero moda. È un corridoio stretto, soffocante, dove cammini e capisci che non puoi uscire senza lasciare qualcosa di te: un vestito, un pezzo di pelle, un ricordo, forse soltanto un respiro trattenuto troppo a lungo.
Alla fine Poell non crea tendenza, ma vertigine. E chi lo incontra, chi osa indossarlo, sa che non si tratta di apparire.
Si tratta, piuttosto, di restare.