Carmela Palatucci

Intervista di: Gabriele Vinciguerra

C’è chi danza per essere vista, e chi danza per salvarsi.
Carmela Palatucci appartiene alla seconda categoria.
Ex danzatrice, oggi guida LiberAnima, un percorso dove il corpo torna strumento di consapevolezza e non di esibizione.
Dentro la sua storia c’è il dolore di una perdita, la metamorfosi di un corpo, la forza di una donna che ha imparato a radicarsi pur sentendosi “extraplanetaria”.

Le sue parole non cercano pietà. Cercano verità.
LiberAnima non è un progetto, è una dichiarazione d’esistenza: un invito a liberare ciò che resta intrappolato tra la pelle e l’anima.
Chi la ascolta, capisce subito che non si tratta di una danza qualunque. È una forma di sopravvivenza, una ribellione gentile contro tutto ciò che ci spegne dentro.

Carmela Palatucci

Se ti chiedessi chi sei davvero, senza usare il tuo nome, cosa risponderesti?

Un’extraplanetaria.
Da sempre mi porto dentro la sensazione di non appartenere del tutto a questo pianeta. È come se fossi arrivata qui con un biglietto di sola andata ma senza mappa, costretta a imparare il linguaggio della gravità per restare.
Fin da piccola ho dovuto radicarmi con sforzo, come chi prova a piantare le proprie radici in un terreno che non riconosce come suo.
Eppure, dentro, c’è qualcosa che non smette di volare: una consapevolezza alata, un modo diverso di percepire la vita, come se ogni cosa terrena fosse solo un frammento di qualcosa di molto più grande.
Non è presunzione, è un richiamo.

C’è un istante preciso in cui hai sentito che qualcosa in te si era fermato?

Sì.
Durante il lutto, nella mia vedovanza, ho conosciuto il suono muto dello smarrimento.
C’è un momento in cui il dolore non grida più, ma resta lì, sospeso come una nota che non trova la sua fine.
Mi sono sentita inadeguata, incapace di adattarmi a un’assenza che fino a poco prima era presenza piena, calda, viva.
E poi c’era mio figlio, due anni appena.
Spiegargli che il nostro mondo si era rimpicciolito è stata la prova più difficile: come tradurre il concetto di perdita a chi sa ancora solo amare?
In quell’istante qualcosa in me si è fermato, ma è stato anche il punto da cui, lentamente, ho ricominciato a respirare.

Come danzi oggi, se non lo fai più in senso tradizionale?

In realtà non ho mai smesso di danzare.
LiberAnima è la mia danza, quella che non ha bisogno di palcoscenici né riflettori.
Il mio corpo conserva ancora la memoria del movimento, la verità del ritmo.
Quando la musica arriva, si muove da solo, istintivamente, come se ogni cellula ricordasse ciò che è stata.
Non danzo più per essere vista, ma per ascoltarmi.
È un linguaggio antico, un dialogo tra corpo e anima che non si è mai interrotto, solo trasformato.

Carmela Palatucci

Hai più nostalgia della leggerezza o del corpo che è cambiato?

Del corpo.
Della sua forza, della sua precisione, della grazia che solo l’allenamento quotidiano sa scolpire.
Un tempo ero una danzatrice con una fisicità perfetta, oggi sono più morbida, più umana.
All’inizio ho faticato ad accettarlo, come se la pelle nuova tradisse quella che ero stata.
Poi ho capito che la leggerezza non stava nei muscoli, ma nel modo in cui scelgo di sentirmi viva.
Dentro, la leggerezza non mi ha mai lasciata. Ha solo cambiato forma.

LiberAnima per te è una fuga, un ritorno o entrambi?

LiberAnima è una missione.
Non una fuga, non un ritorno, ma una direzione che segue un’urgenza interiore.
L’ho creato trent’anni fa, quando ho sentito che la danza non poteva più limitarsi al movimento del corpo.
Avevo bisogno che diventasse linguaggio, strumento, rito.
LiberAnima è nato così, come un atto di verità: un invito a connettersi profondamente con se stessi, a muoversi dentro prima che fuori.
Non fuggo mai, non cerco ritorni.
Resto. E in quel restare trovo sempre qualcosa che si libera.

Quale verità scomoda hai scoperto su di te in questo viaggio?

Che per molto tempo mi sono rimpicciolita per lasciare spazio agli altri.
Per farli sentire grandi, per non spaventarli, per paura di apparire “troppo”.
Ma quando ho imparato a riconoscere la mia forza, ho smesso di farlo.
E lì, molti non hanno retto la mia luce.
Da angelo, all’improvviso, sono diventata demone ai loro occhi.
Non per ciò che facevo, ma per ciò che ero.
Essere fraintesa è stata una condanna e una rivelazione insieme.
Chi non ha le chiavi per comprendere la profondità altrui, tende a distruggerla.
Io ho imparato a proteggermi senza chiudermi, ad allontanare senza rancore.

Se il tuo corpo potesse parlare, cosa direbbe alla tua anima?

“Invidio la tua incorporeità.”
Le direbbe così, con una punta d’ironia e un po’ di stanchezza.
Perché il corpo conosce il peso, la materia, il limite. L’anima no.
E forse aggiungerebbe: “È più semplice nascere uomo su questo pianeta.”
Un modo amaro per dire che la carne femminile, qui, porta ancora un carico di aspettative, di ferite e di prove.
Il corpo si consuma, l’anima resta in sospeso. Ma una non esiste davvero senza l’altra.

Cosa significa oggi sentirti viva?

Sentirmi canale di luce.
Viva è quando percepisco che qualcosa passa attraverso me, non solo dentro.
Conduco una vita semplice, fatta di cose essenziali, che convive con una interiorità complessa, stratificata.
Amo il contrasto tra il silenzio e la risata, tra l’introspezione e la leggerezza di un bicchiere di vino condiviso con chi voglio bene.
Essere viva è commuovermi per un gesto inatteso, lasciarmi toccare dalle piccole cose che spiazzano.
Non cerco più l’intensità forzata. Cerco la verità nei dettagli.

Cosa vuoi davvero liberare con LiberAnima?

La malinconia.
È la mia ombra più fedele, la compagna che non se ne va mai, nemmeno nei momenti di pura ilarità.
Ho sempre un occhio che ride e uno che resta triste, come se in me convivessero due emisferi opposti.
La malinconia è ciò che rende tutto più vero, ma anche più pesante.
Con LiberAnima provo a lasciarla fluire, a trasformarla in bellezza, in movimento, in consapevolezza.
Solo pochi riescono a vedere entrambi i miei occhi. Ed è giusto così.

Carmela Palatucci

Se potessi parlare a chi si sente intrappolato nella propria storia o nel proprio corpo, cosa diresti?

Direi di venire.
Di partecipare a LiberAnima, non come spettatore ma come atto di coraggio verso se stessi.
Di osare, di rompere gli schemi, di ribellarsi alle gabbie che la mente costruisce.
Di cercarsi dentro, davvero, senza sconti e senza paura.
E soprattutto, di smettere di giudicarsi.
LiberAnima non è una fuga dal dolore, è un attraversamento.
Un invito a conoscersi per intero, corpo e anima, senza lasciare indietro nessuna parte.

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Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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