Editoriale di: Gabriele Vinciguerra

Si parte sempre dai piedi.
Dalla terra, dal peso, dal passo che lascia una traccia.
È da lì che nasce A Diciannoveventitre, il progetto radicale di Simone Cecchetto, artigiano veneto che ha trasformato la scarpa in un atto di esistenza più che di moda.

Le sue creazioni non si limitano a calzare: abitano.
Ogni modello è costruito a mano con una lentezza quasi ascetica. La pelle viene tagliata, immersa, cotta, piegata, martellata. Subisce un processo alchemico che la trasforma in qualcosa di vivo, imperfetto, irripetibile. Le scarpe di Cecchetto non nascono identiche: nascono vere.
Il tempo le consuma, ma è proprio nel consumo che si compie la loro bellezza.

Non c’è decorazione, non c’è orpello.
Solo forma e funzione che si fondono fino a diventare presenza. Ogni paio è una scultura indossabile, una dichiarazione di autenticità.
È il dark tailoring applicato al cammino: la disciplina del gesto, la sobrietà della materia, la spiritualità del limite.

Nel suo laboratorio del Veneto, Cecchetto lavora come un monaco del cuoio.
Ogni strato, ogni cucitura, ogni imperfezione è parte del racconto. Le sue scarpe sembrano uscite da un passato dimenticato o da un futuro che rifiuta la plastica. Non seguono le stagioni, non conoscono marketing, non si piegano alla serialità.
Camminano da sole, fuori dal tempo.

Attorno alle calzature, A Diciannoveventitre ha costruito un universo coerente: giacche, borse, accessori. Tutto nasce dallo stesso respiro, dalla stessa filosofia di lentezza e rigore. Ma è nella scarpa che si concentra il senso profondo del marchio: il contatto tra l’uomo e il mondo.
Un incontro che lascia segni, graffi, memorie.

Cecchetto non disegna oggetti, disegna esperienze.
Ogni sua creazione porta con sé una domanda: quanto di noi resta in ciò che consumiamo? E quanta verità si può ancora cucire a mano, in un’epoca che tutto appiattisce?

A Diciannoveventitre è una risposta concreta, silenziosa e ostinata.
È la prova che la pelle può ancora raccontare, che la lentezza è una forma di lucidità, che la moda può tornare a essere gesto, peso, cammino.
Un passo dopo l’altro, fuori dal rumore.

Qual è la tua reazione?

emozionato
1
Felice
1
Amore
1
Non saprei
0
Divertente
0
Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

Ti potrebbe piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.