Papa

Articolo di: Gabriele Vinciguerra

Habemus Papam.
Otto maggio 2025, una data che resterà incisa nella storia: per la prima volta, un uomo nato in America  Robert Francis Prevost è divenuto Papa. Ma ciò che ha colpito il mondo non è stato solo quel “Leone XIV” inciso nei secoli della Chiesa, ma lo sguardo con cui ha abbracciato la folla.

Uno sguardo che non dominava, ma abbracciava.
Una voce che non imponeva, ma accoglieva.
Una presenza che non cercava applausi, ma silenzio.

Chi è Leone XIV

Nato a Chicago nel 1955, ma cresciuto spiritualmente nelle polverose periferie del Perù, Robert Prevost non è il Papa dei titoli, ma dei volti. Missionario per scelta e non per destino, ha camminato tra i poveri come uno di loro. Ha ascoltato più che parlato. Ha servito prima di comandare.

Nel Dicastero per i Vescovi ha lavorato con dedizione, ma è tra la gente di Chiclayo che ha lasciato la sua impronta più viva: una Chiesa che tocca, che consola, che non ha paura della polvere.

Le parole che hanno fatto luce

Nel suo primo discorso da Pontefice, Leone XIV ha detto:

“La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio.”

Poi ha lasciato un silenzio. E in quel silenzio, il mondo ha sentito qualcosa che mancava da tempo: la verità del cuore.

Ha ringraziato Papa Francesco, richiamando il coraggio e la tenerezza del suo pontificato, e ha promesso una Chiesa “disarmata e disarmante”, che cammina con i suoi figli, non sopra di loro.

Un tempo di ponti, non di mura

Nel mondo diviso di oggi, la sua voce è già un ponte. Ha parlato di dialogo, non di trincee. Di pace che si costruisce “giorno dopo giorno, cuore dopo cuore”. Ha rivolto un saluto affettuoso alla sua terra spirituale, il Perù, e ha chiesto a tutti di camminare insieme, “come un solo popolo”.

Non ha parlato di potere. Ha parlato di fragilità, e della forza che nasce dall’abbracciarla.

Un uomo venuto dal Nuovo Mondo, per rinnovare il cuore del mondo

Leone XIV non sarà un Papa da copertina. Sarà un Papa da interiorità.
Non sarà un pontefice da proclami. Sarà una presenza viva e mite.

Il suo messaggio è già chiaro: la Chiesa del futuro non sarà più un bastione. Sarà una casa aperta. Dove la fede non si impone, ma si respira. Dove l’altro non è un problema, ma un fratello.

E così sia

Con Leone XIV, forse la Chiesa non cambia volto. Ma torna a mostrare il suo volto più vero. Quello umano, tenero, silenziosamente coraggioso.
E in un mondo che ha dimenticato cosa significa credere davvero, lui sembra ricordarcelo. Con il tono basso di chi non cerca di farsi ascoltare.
Ma di ascoltare.

 

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Gabriele Vinciguerra
Gabriele Vinciguerra è un artista visivo e psicologo. Fotografa l’anima prima ancora dei volti. Ogni scatto è un atto di verità, un frammento di silenzio che vibra, un incontro autentico tra la sua sensibilità e l’essenza umana di ciò che ritrae. Le sue immagini non decorano, scavano. Non mostrano, rivelano. La moda è il suo lessico estetico: un universo che abita da anni, dove eleganza e identità si fondono in visioni che superano la superficie. Ma la macchina fotografica, per lui, è solo il mezzo. Il fine è più alto: far sentire, toccare, ricordare. Laurea in Psicologia, con un focus sulla psicologia sociale e sul potenziale evolutivo dell’essere umano. Questo non è un dettaglio biografico, è un orizzonte che trasforma il suo modo di guardare, ascoltare, raccontare. Le sue opere non parlano solo agli occhi, ma alle parti invisibili che ci compongono. E poi ci sono le parole. Le usa come una seconda lente, forse la più affilata. Ogni parola per lui pesa, pulsa, incide. Perché sa che quando immagine e linguaggio si incontrano, nasce qualcosa che può toccare profondamente, cambiare prospettiva, lasciare un segno. Il suo lavoro è questo: un intreccio di visione e coscienza, di luce e psiche. Un viaggio dentro l’umanità, per chi ha il coraggio di guardare davvero.

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