Secondo il primo studio effettuato dal Centro Nazionale Sangue dell’IIS, emerge che in Italia circa uno su dieci ha gli anticorpi, cioè ha avuto un contatto con il virus  di Epatite E in passato, ma l’infezione è guarita. Nella maggior parte dei casi, circa il 90%, questa infezione è stata asintomatica.

 

Tuttavia il rischio che ad oggi vi sia una presenza attiva ed acuta della malattia è abbastanza ridotto, anche se va tenuto sotto controllo. Per questo motivo, lo studio – come spiega in una nota stampa il direttore del CNS-Centro Nazionale Sangue, Giancarlo Maria Liumbruno –  seppure attendibile e frutto di un lungo lavoro di ricerca, è ancora in una prima fase, lasciando intendere che ci sarà un proseguo ancora più approfondito.

Da un lato, su 10mila campioni di sangue donati in tutta Italia ed analizzati accuratamente dal Cns è stata riscontrata una presenza degli anticorpi pari all’8,6%, come rivelato da Simonetta Pupella, biologa e ricercatrice che coordina i programmi EQA del centro, quelli che certificano la capacità del sangue di immunizzarsi. Dall’altro lato, la presenza degli anticorpi nel sangue è il segno tangibile che in passato una parte della popolazione è entrata in contatto con la malattia.

La Basilicata presenta un minore tasso della malattia con il 2,2%, un decimo della percentuale (22,2%) presente in Abruzzo, accompagnata da altre regioni Umbria, Marche, Lazio e Toscana e Sardegna dove l’incidenza è più alta.

Sembra che i fattori di rischio siano dovuti al consumo maggiore di carne cruda di maiale (come ad esempio gli insaccati e le salsicce di fegato), portatrici di maggiore diffusione del virus. Un dato confortante è che in nessuno dei campioni analizzati è stato riscontrata una sostanziale incapacità di moltiplicarsi.

Stando a questi primi dati, se in Italia la presenza attiva del virus, soprattutto nella fase più acuta, è comunque molto ridotta, in paesi come la Francia e la Gran Bretagna, sono stati evidenziati rispettivamente 1825 e 800 casi solo nel 2014. Mentre nel nostro paese il Ministero della Salute ne ha registrati solo 211 tra il 2007 e il 2011. “L’infezione è considerata una malattia emergente in Europa, e tutti i paesi stanno iniziando ad analizzarla con attenzione per valutare l’eventuale necessità dell’adozione di misure di screening” conclude nella nota Liumbruno. Per maggiori delucidazioni Alpi Fashion Magazine ha intervistato Simonetta Pupella, ricercatrice del CNS.

Come si contrae la malattia e quali conseguenze può comportare per la salute?

Ci sono diversi possibili veicoli per il contagio. Alcuni studi hanno identificato il consumo di alimenti infetti come possibile fonte di acquisizione del virus, ad esempio attraverso la carne cruda di maiale sotto forma di salsicce di fegato. Ci sono anche casi descritti di contaminazione dell’acqua potabile, ma solo in paesi in via di sviluppo. La malattia è ancora rara, anche se in crescita, nei paesi industrializzati, e nella quasi totalità dei casi, oltre il 90%, non dà sintomi. Raramente, in pazienti immunodepressi, può sfociare invece in epatiti acute o croniche.

Quanto è importante lo sviluppo gli anticorpi nei soggetti che hanno già contratto la malattia?

La presenza di anticorpi indica un’esposizione al virus avvenuta nel passato, e secondo alcuni studi riduce fortemente il rischio di contrarre di nuovo l’infezione.

La malattia prevede una fase di incubazione? Quanto dura?

La fase di incubazione varia da 15 a 64 giorni.

Quali sono le eventuali complicazioni?

nella maggior parte dei casi l’infezione è asintomatica. La peggiore complicazione dell’infezione è lo sviluppo di una epatite, che a lungo termine può portare a cirrosi.

Ci sono alcune circostanze favorevoli al proliferarsi della malattia?

Nei paesi in via di sviluppo le condizioni igienico-sanitarie carenti, come l’esposizione ad acqua contaminata, sono indicate come il principale veicolo di infezione. In quelli industrializzati, fatta eccezione per i casi importati da paesi a rischio, il principale fattore di contagio sembra essere quello alimentare, in particolare il consumo di carne cruda di maiale.

In quali casi è necessario mantenere alta l’attenzione?

Il virus ha una probabilità maggiore di dare gli effetti peggiori soprattutto nelle persone immunodepresse

Quali accortezze bisogna adoperare per la prevenzione?

Se si viaggia in paesi in via di sviluppo, dove il rischio di contagio è alto per le cattive condizioni igienico-sanitarie occorre soprattutto evitare il contatto con acqua non confezionata ed attenersi alle norme igienico-sanitarie generalmente raccomandate per questo tipo di mete. In quelli industrializzati la prevenzione dovrebbe essere basate sul controllo delle catene alimentari.

Perché in alcune Regioni, come Abruzzo, Umbria, Marche, Lazio e Toscana e Sardegna, l’incidenza e più alta?

In queste regioni sono più alte sia la prevalenza riscontrata dallo studio che l’incidenza di casi di epatite censiti dal ministero della Salute, probabilmente per le abitudini alimentari peculiari che vedono ad esempio un maggior consumo di carne cruda di maiale.

In base ai dati che emergono dal rapporto si può affermare o meno che in Italia la situazione sia sotto controllo rispetto ad altri contesti europei?

La prevalenza trovata in Italia è in linea con quella degli altri paesi europei, mentre il numero di casi di epatite E segnalati è nettamente inferiore ad altri come l’Inghilterra. In nessun paese europeo il fenomeno ha dimensioni allarmanti, e anche se in aumento il numero dei casi rimane molto basso.

Marianna Gianna Ferrenti

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Marianna Gianna Ferrenti
Sono una giornalista pubblicista lucana. Dopo alcune esperienze sul territorio, ho allargato gli orizzonti, affacciandomi nel 2012 al mondo del social journalism. Laureata magistrale in Scienze filosofiche e della comunicazione, dopo un corso di Alta Formazione in Graphic Design ed Editoria digitale, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, ho arricchito il mio background con competenze tecniche nell'ambito della scrittura digitale

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